Quel Giro del ’68, il suo primo, lo conquistò nell’unica occasione in cui la corsa rosa si è conclusa a Napoli. Quasi una attrazione fatale.
«Fu un amore a prima vista. Anche se a Napoli, con il Giro, ero già arrivato, in una tappa intermedia, l’anno precedente. Ma allora, nel ’67, con la squadra Peugeot, al mio esordio, ero solo una curiosità. Il Giro del ’68, no, resta il Giro più bello, fra i cinque vinti, per me. E non solo perchè fu il primo. Ma perchè fu un Giro guadagnato giorno dopo giorno. Un Giro da giovane».
Lei non era certo il grande favorito.
«Appunto. Il favorito di tutti era Felice Gimondi, che si era imposto l’anno prima. Ed io mi trovai, in una nuova squadra italiana, la Faema, con un mix di italiani e belgi, a battermi contro tutti. Gli italiani, Gimondi e Zilioli, e quel Dancelli che tenne la maglia rosa per un bel po’ di tappe. Anche se io, al fianco, avevo un consigliere esperto come Vittorio Adorni. E gli scalatori spagnoli, da Gabica ad Jimenez, ne inventavano sempre una, anche se non c’era ancora Fuente. Certo, ma tutti pensavano che sarei scoppiato alla prima salita, come tutti i belgi che si rispettano. E io invece, in quel Giro, vinsi forse la mia tappa più entusiasmante proprio su alle Tre Cime di Lavaredo».
Vincere un Giro a Napoli…
«Ricordo la pioggia di quel giorno. Un cielo da Fiandre, forse per omaggio ad un belga che trionfava… E poi l’arrivo sul velodromo dell’Arenaccia, la tappa la vinse Reybrouck, un mio compagno».
Ed i suoi gregari di quel Giro, oltre il luogotenente Adorni?
«C’era Casalini, che andò a vincere sul Monte Grappa. Ed un altro tosto, Farisato. E c’erano i miei compagni belgi: Vandenbossche, Spruyt, Swerts. E c’era specialmente Van Schil, Victor Van Schil, “Vic”. Uno che con me ha diviso la vita oltre ai Giri ed ai Tour. E che due anni fa se ne è andato, per una scelta assurda. Da quel giorno, dopo la sua scomparsa, io che continuavo ad uscire in bici con lui tutte le mattine, mi è sembrato che avessi perso un pedale, un’ala del cuore».
E l’avversario più forte di quel Giro?
«Senza dubbio Gimondi, come d’altra parte è stato in tutta la nostra storia parallela. Quell’anno soffrì a Lavaredo, ma mi battè nella cronometro di San Marino. Arrivò terzo, alla fine, dopo Adorni. E con lui, un avversario leale, serio, corretto, sarebbe stata una sfida continua. Ed anche per questo rispetto, quando ci incontriamo oggi, è sempre una festa».
Aveva il numero 21, come dorsale, Merckx, in quel primo Giro. Il numero di Armstrong, nel suo ultimo Tour.
«Non esprimo nessun giudizio su questa persona».
È più tornato a Napoli, dopo quel Giro?
«Sono stato a Sapri, a Sorrento… Ricordo, una decina di anni fa, di essere stato a Pietravairano, al Giro, ospite di Christian Auriemma, che aveva una rivendita delle mie biciclette. A Napoli proprio no».
Sarà una buona occasione per tornarci, al Giro 2013, che partirà da qui.
«Lo so ma chissà il primo sabato di maggio dove sarò… Mi piacerebbe rivedere Napoli e conoscere Ischia, che non ho mai visto. Con il sole, semmai. La pioggia andava bene al Merckx del ’68, oggi un po’ meno».
Merckx, lei è stato un campionissimo del ciclismo, ma è anche un grande appassionato di calcio.
«Sono un tifoso storico dell’Anderlecht. E in questa giornata abbiamo battuto per 5-0 il Mons in trasferta. Siamo primi, in campionato. Ed in fuga. Una decina di punti sul Waregem, secondo. Ma anche voi, a Napoli, state bene, mi sembra. Con un attaccante tanto forte, quel Cavani».
È una punta, diciamo, alla… Merckx?
«Beh, come Merckx proprio, non esageriamo. Ma come il miglior Gimondi, quantomeno. E non è poco, credetemi». Parola del Cannibale.
Fonte: Il Mattino
Articolo modificato 10 Dic 2012 - 09:12