A volte pare che la malasorte addensi gli episodi della sua fredda aneddotica da una sola parte. la sceglie tra mille, per poi percuoterla, poco alla volta, votandola a un crudele accanimento che a un certo punto pare somigliare a una persecuzione.
La storia del calcio italiano vuole il Torino tra i bersagli preferiti della sventura. Sembra che un destino beffardo l’abbia messo in bacheca, quel simbolo così antico e glorioso, che proprio per questo viene conservato a mo’ di reliquia vivente, stipato dentro i silenzi e i clamori, uno per volta inchiodato a una parete ingiallita, dove forse, dietro, sono stati murati gli strazi della sua storia tormentata, a discapito pure dei suoi successi.
Nell’aprile del ’79, Paolo Barison lavora per il Torino calcio, in qualità di osservatore e collaboratore dell’allenatore Luigi Radice. Paolo inizia a giocare a pallone nel ’53, con il Vittorio Veneto, per poi militare nel Venezia, nel Genoa, nel Milan, nella Roma e nel Napoli. Attaccante, che allora chiamavano di “sfondamento”, più di cento goal in carriera, uno scudetto e una Coppa dei Campioni con la maglia rossonera. 9 presenze in nazionale e 6 goal, a coronamento di una punta che indossa maglie di tutto il calcio, dalle grandi piazze alle piccola province. Ragazzo del tempo, con la faccia della sua epoca e i ricordi della sua famiglia che non c’è più. Già, perché Paolo perde anzitempo i genitori e il fratello maggiore, e gli resta soltanto la sorella Anna, dodici anni più grande di lui.
Per il biondo centravanti il calcio è la direzione di una vita. Lascia gli studi e ci si dedica anima e corpo. Il tentativo gli dà ragione, vince la scommessa e il suo nome è tra quelli del pallone che conta. Ma per certi calciatori la carriera assume i toni di un contorno nemmeno così confortante, perché Paolo è uno destinato alla sottrazione.
Alla fine degli anni ‘sessanta, uno “scandalo rosa” pronuncia il suo nome, e il colore rosa, in fondo, non lo riguarda, perché l’ennesima delusione gli riserva il dispiacere di essere abbandonato dalla moglie, e madre dei suoi tre figli, che decide di lasciarlo per sposare Josè Altafini, suo compagno di squadra nel Milan.
Ritiratosi dal calcio giocato prima della metà degli anni ’70, Barison decide di continuare a seguire il pallone attraverso la FIGC, e poi iniziando, dopo una parentesi da allenatore del Milan, una stretta collaborazione con Gigi Radice, che diventa allenatore del Toro nel 1975. Dopo quattro anni, il 18 Aprile del 1979, il Guerin Sportivo lo definisce “Paolo il buono”, e, come tutti gli altri quotidiani, gli dedica ampio spazio. Paolo, il giorno prima, è scomparso a causa di un incidente stradale sull’Autostrada dei Fiori, nei pressi di Savona. Nell’auto che sbatte contro un autoarticolato che ha invaso la corsia opposta, insieme a Paolo viaggiava pure Gigi Radice, che però, nonostante la gravità delle sue condizioni iniziali, riesce a salvarsi.
A nemmeno 43 anni, Paolo Barison si congeda nel peggiore dei modi dalla tirannia della sua vita non proprio fortunata, a dispetto dei successi e delle soddisfazioni. Charles Bukowski ha scritto che “Nuove avversità arrivano come un treno in orario”. In certi casi sembrano pure godere di binari preferenziali.
Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka