C’è un giudice del Tribunale di Napoli che non ha dubbi: «Il San Paolo è un luogo ben lontano dall’essere gestito nel rispetto di regole e forme, come insegnano la storia del boss Antonio Lo Russo a bordo campo durante la partita Parma-Napoli, ma anche quanto avviene nelle curve per opera del tifo organizzato e la difficoltà di una regolare e disciplinata vendita di biglietti per le partite europee».
Che storia è questa? Cosa spinge il gip Luigi Giordano a puntare l’indice sulla gestione dello stadio cittadino? Si parte dall’arresto di Vincenzo Fasano, accusato di ricettazione di sofisticate apparecchiature di ripresa e si scopre uno sfondo di continui atti di sabotaggio all’interno del San Paolo e a danno di un imprenditore che aveva vinto un regolare appalto per piazzare un nuovo sistema di videosorveglianza nella struttura di Fuorigrotta.
Partiamo dal dato di cronaca: agli arresti finisce il 45enne Fasano (latitante il suo presunto socio), sotto accusa per ricettazione di alcune telecamere rubate da uno studio di un ingegnere di Cercola (centro assistenza della Canon Italia), a sua volta titolare di un importante appalto per la videosorveglianza dello stadio.
È da questo arresto, che la Digos del primo dirigente Filippo Bonfiglio risale a una possibile (anche se al momento non accertata) pressione contro un imprenditore che dal 2010 gestisce il «grande fratello» interno agli spalti. Si chiama Stefano Nasti, la sua denuncia è decisiva per instradare i pm sull’ipotesi di sabotaggi mirati, su una possibile guerra sporca per accaparrarsi appalti e zone d’influenza nello stadio partenopeo. Stando a quanto emerso finora, qualcuno le ha provate tutte per impedirgli di dotare il San Paolo di un sistema di controllo all’altezza delle esigenze, per spegnere la luce su episodi di violenza, traffici illegali di biglietti, ma anche di sostanze stupefacenti.
Fatto sta che da quando nel 2010 Nasti subentra a una precedente ditta, subisce una serie di danni mirati: prima qualcuno, per ben due volte, taglia i cavi della nuova videosorveglianza del San Paolo, poi Nasti subisce il furto di apparecchi per 350mila euro nei suoi uffici di Cercola. Nasti non ci sta e denuncia tutto, a partire da un’offerta «indiretta e ambigua» del vecchio monopolista della videosorveglianza al San Paolo, che gli aveva proposto di raggiungere un accordo privato per non essere del tutto estromesso dall’affare videosorveglianza.
È così che l’attenzione della Procura si focalizza su Nicola Liscio, fino al 2010 monopolista del «grande fratello» interno al San Paolo: ha potuto gestire per anni gli impianti di videosorveglianza – si legge negli atti di indagine -, grazie a contatti con dirigenti del Comune ora più che mai sotto osservazione. Non risulta indagato in questa storia di presunti sabotaggi o delle telecamere rubate – è bene chiarirlo -, ma alcune sue intercettazioni ricorrono nell’ordine di arresto a carico di Fasano. È così che, parlando con un consulente del Calcio Napoli, Liscio si mostrava preoccupato per la mancanza di documentazione richiesta dal Comune: «Vogliono sapere se noi siamo idonei per lavorare con loro. Vogliono tutte le certificazioni e non le teniamo». Quindi chiarisce di quali certificati non sono in possesso: «Vogliono il Durc (documento unico di regolarità contributiva, ndr) non lo teniamo… niente… nominativo corso… non teniamo niente noi… corso… nomina del medico… pure il medico… visite mediche… corso di formazione… non teniamo niente qua noi… il corso addetto primo soccorso… corso di formazione».
Poi il gip si sofferma negli atti di sabotaggio subiti da Nasti: il primo risale al 26 ottobre del 2011, dopo circa un mese dalla consegna formale dell’impianto da parte dell’ingegner Stefano Nasti al Comune di Napoli. Il secondo episodio è avvenuto invece l’11 gennaio 2012, ossia dopo circa 20 giorni dallo stanziamento da parte del Comune della somma di 4,2 milioni di euro destinata alla realizzazione di un impianto di videosorveglianza digitale a copertura della curve A e B dello stadio San Paolo. Indagini coordinate dall’aggiunto Giovanni Melillo e dai pm Antonello Ardituro, Danilo De Simone, Stefano Capuano e Vincenzo Ranieri, quanto basta per immaginare approfondimenti su contratti e contiguità tra imprenditori, pubblici ufficiali e il sottobosco di affari milionari che ruota attorno alla passione azzurra.
Fonte Il Mattino