Alla gogna, con l’immagine falcidiata da chi non sa, da chi si affida alla genericità delle parole ascoltate e mai comprese. Per tutti quelli che non sanno perché non vogliono sapere, perché la riflessione costa tempo e il tempo ha il volto orribile del fastidio; per costoro tu sarai sempre il condannato, uno sportivo illegale, un mestierante del gioco.
Per costoro, ma non per noi, non per me, non per quelli che sanno riconoscere il tuo volto tra mille, per quelli che nel tuo sorriso sanno calcolare la fatica e un amore preciso.
Oggi voglio dirti le cose che non ti ho mai detto, quelle cose che sono chiuse nel ripostiglio della memoria, custodite tra l’indice e il pollice come realtà delicate che sanno di carta fragile e preziosa.
Voglio dirti grazie per la volontà del tuo affrancamento. Fratello di un Dio, hai saputo scavare nella tua umanità per spezzare il peso delle catene. Riconquistato alla singolarità insopprimibile del tuo nome, ti ho amato come i grandi che diventano tali non per nobiltà di sangue, ma per un’oscura determinazione che non cede il passo alla storia che fu e che non ci appartiene.
Voglio dirti grazie per quelle lacrime profuse in ginocchio, come un adorante che ringrazia il suo Dio per avergli concesso la realtà di un sogno inconfessabile, troppo vasto per non pesare su un cuore che sa sentire davvero.
Grazie per quelle lacrime notturne, quelle che ci spedirono in giro nell’Europa delle grandi capitali. Crollasti sul manto verde come su un tappeto di foglie, senza rumore, come chi in quell’erba vedeva realizzarsi la sacra tenacia di un popolo.
Voglio dirti grazie per essere stato il nostro capitano. Un popolo non può essere guidato da uno straniero, non ne comprenderebbe l’accento né lo seguirebbe senza la frusta e il terrore della punizione. Noi ti abbiamo seguito perché eri dei nostri, perché il tuo gesto era compreso al di là di ogni alfabeto, perché sentivi con precisione matematica il nostro sussulto e la nostra speranza. Ti abbiamo seguito perché ciò che desideravi era il nostro desiderio, ciò che ottenevi era l’esaudirsi di una nostra profezia legata al tempo e a una passione comune.
Voglio dirti grazie capitano. Le mie parole non ti regaleranno niente, né faranno i tuoi giorni futuri più tersi e sfumati. Non so perché, ma un opprimente sensazione di confessione mi ha travolto guardando il tuo volto. Troppo spesso ci dimentichiamo di dire grazie, troppe volte ci inganniamo di poter bastare a noi stessi, pochissime volte sappiamo scendere dalla vertigine dell’illusione del nostro essere necessari.
Oggi so solo dirti grazie. E te lo dico in una maniera confusa, perché il vero sentimento non ha la parola esatta né la formula definitiva. Proprio come te, che affogato nel pianto non trovavi la parola per dirti “GRAZIE PAOLO”.
Carlo Lettera
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