È lo stesso discorso di Napoli-Bologna, al termine di una delle partite più deludenti degli ultimi mesi. Siamo riusciti a ricostruire tutte gli eventi che si susseguirono, dall’uscita dal campo fino al ritorno a casa. Vi proponiamo, in esclusiva, il racconto di quegli istanti.
Il Capitano Paolo, si dice, se ne tornò a testa bassa negli spogliatoi. Il suo volto era deluso, e non solo dalla partita. Sapeva che quella poteva essere l’ultima, vista l’ingiustizia incombente. Ebbene, all’apertura della porta, Cannavaro si ritrovò un intero gruppo di persone ad aspettarlo. Massaggiatori, compagni di squadra, dirigenti. Tutti a intonare PAOLO-PAOLO. Non ce n’era motivo. O forse sì. L’unità del gruppo si vede da momenti come questi. Al di là del calcio, al di là dell’amicizia.
Fatto sta che il buon De Sanctis, dotato di un’ugola tutt’altro che stupefacente, se ne stava lì, ad abbracciare i compagni, e a urlare PAOLO-PAOLO, con quella sua voce rauca che graffiava i muri. Il buon Vargas, al proposito, chiese timidamente di smetterla con quel rumore. E aveva ragione; gli provocava un certo fastidio, di quelli che ti bruciano dentro. De Sanctis, dalla sua, continuava a cantare a squarciagola, non sapendo di essere il colpevole.
La scena continuò per i suoi buoni 3-4 minuti, senza però contare quello che accadde dopo. Sì, perché la profezia dei Maya non è nulla a confronto della maxi-rissa scoppiata nello spogliatoio del Napoli.
Il buon Vargas, falcidiato nell’animo dalla voce gracchiante di De Sanctis, ritentò, questa volta alzando un po’ i toni. Nulla di che, per carità: chiese al vicino Mesto di guardare sui muri, per trovare il colpevole. Ebbene, i due si girarono all’istante, alla ricerca del burlone di turno. La cosa, però, non piacque agli altri senatori del gruppo, pensando fosse sintomo di superficialità e strafottenza nei confronti del capitano.
Fu allora che intervenne Campagnaro, forse in difesa del suo compagno di reparto. Chiedeva spiegazioni, il Toro, e soprattutto chiedeva attenzione. In tutto questo De Sanctis continuava a gracchiare, senza fermarsi, anzi. Fu allora che intervenne il Matador, amareggiato per il risultato ma ancor di più per la prestazione sotto tono. Non se lo fece passare due volte per la testa, e, elettosi a leader indiscusso del gruppo, richiamò tutti all’attenzione, alzando – diciamolo – di qualche tono la sua voce sommessa. De Sanctis gracchiava, Vargas e Mesto erano alla ricerca di un burlone, Campagnaro se la prendeva con quei due e Cavani chiedeva attenzione, urlando.
Di certo il presidente non ebbe una buona impressione alla sua entrata nello stanzone. La confusione si era diffusa in ogni angolo: volavano bottigliette di acqua Lete come se fossero piccioni impazziti, le bustine del ghiaccio funzionavano come proiettili arrangiati alla buona per colpire il prossimo. Il capitano, nell’angolo, era muto. De Sanctis continuava a cantare, gli altri a cercare, Cavani a urlare.
Fu così che il buon De Laurentiis decise di mandare tutti in ritiro, e questa volta senza cinema né panettoni. Mazzarri, ancora in campo chiedendo minuti in più all’arbitro, non si accorse di nulla ma, al suo ritorno, vista la presa di posizione del presidente, decise di dimettersi in tronco, per divergenze con la società. E chiese anche a DeLa di firmargli il licenziamento, così da prendere l’assegno di disoccupazione. Sono tempi di crisi, non si sa mai.
Ecco, vi abbiamo riportato in esclusiva il racconto di quei momenti convulsi. Sono stati tanti i giornalisti che ci hanno chiesto notizie a riguardo, ma solo noi avevamo l’esclusiva di queste notizie. Peccato che molti ci abbiano creduto; era solo fantasia, era uno scherzo. Era una storia dedicata a tutti quelli che, spinti dalla voglia di spaccare il mondo, vogliono rompere i giocattoli degli altri.
Il giocattolo non si rompe, cari amici. Anzi, un consiglio, con i giocattoli. A Natale, regalateli a chi non ce li ha.
Raffaele Nappi
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