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Privi di buona ventura. Shakerati dalla sorte avversa. Un vortice di cattivi presagi che aleggia su Partenope. Insomma, cambiano i versi ma non la sostanza. Chi, ieri sera, sul palo di Pandev o sull’incornata finale di Campagnaro non ha esclamato la fatidica frase E che ciort’!”? Un gentile invito alle divinità celesti nel volgere lo sguardo sul catino di Fuorigrotta è stato inevitabile. Appello ala sfortuna da estendere oltre il 90′, quando l’incantesimo si tramuta in fenomeno da barac-Kone. Uno sconosciuto greco, fino a tre giorni fa solo uno dei tanti esemplari con quel cognome sulle spalle, è stato prelevato dal museo dei reperti paleolitici e ha preso vita sotto i riflettori del San Paolo. Due capolavori in due gare, entrambi allo spirare dei match. I tifosi preparano il tuffo nell’acqua santa, ma è l’incredulità a strozzare in gola ogni forma di imprecazione.

La iella come capro espiatorio. Come se lo spettacolo immondo offerto dal Napoli dicembrino passasse in secondo piano. Come se la via d’uscita dal tunnel sia addebitare le nostre disfatte ad agenti esterni, irrazionali. Azzuffarsi con il fato bizzarro è roba da mediocri. E’ giustificare i propri fallimenti senza assumersi responsabilità. E’ mistificare la realtà alla ricerca del cavillo a proprio favore. Noi non ne abbiamo bisogno. Noi andiamo oltre. Solo intervenendo cu concentrazione, unità d’intenti e umiltà questa squadra può riassestarsi sui giusti binari.

La fortuna nel calcio è un episodio, uno dei tanti. Una variabile impazzita, il più pericoloso degli uomini in campo perchè è un vile voltagabbana. Ma è furba, non certamente acefala come molti ci vogliono far credere. Siede al tavolo degli audaci, e ama sbeffeggiare gli sfigati. In tante gare gli azzurri hanno goduto del suo beneplacito. Ad inizio campionato con Fiorentina, Sampdoria, Udinese, senza dimenticare il rocambolesco finale di Stoccolma con il passaggio del turno in Europa League sul filo di lana. Prestazioni decisamente opache, diciamoci la verità, risolte da un guizzo. Lì si parlava di un Napoli cinico, solido, maturo (aggettivo che è ormai perennemente vittima di stupro). Nessun accenno alla sorte amica. Probabilmente corretto. La scintilla positiva non scaturisce dallo schioccare di due dita, è indotto da un comportamento spartiacque. Siamo noi gli artefici del nostro destino.

Dall’Inter in poi il richiamo alla Dea bendata è tornato di moda. Certo, nelle ultime tre sfide, sono state create dozzine di occasioni da rete gettate al vento. Ma perchè pavoneggiarsi delle proprie qualità e strappare meriti al caso solo per tirare acqua al proprio mulino? Perchè cedere l’onere dell’inefficienza a fantomatici disegni pre-costituiti? No, non siamo di questo avviso. Il confine tra errore e sfortuna nel calcio è talvolta molto sottile, ma non ancora trasparente. Hamsik, Cavani, Pandev, Maggio: è lecito attendersi maggiore concretezza da calciatori di questo calibro. Certo tutti possono sbagliare, ma per rimediare è determinante l’ammissione di colpa.

Un gruppo scosso dal caso Cannavaro e Grava, dalle polemiche sui contratti in scadenza, dal misterioso futuro di Mazzarri, scende in campo senz’anima, confuso e distratto. In queste condizioni manca la tranquillità e la freddezza di gonfiare la rete alla prima palla-gol utile. Sentire il tecnico toscano organizzare “allenamenti ai tiri in porta” inorridisce. Bando alle ciance, è necessario ritrovare la serenità interna, a prescindere dagli eventuali interventi nel mercato di riparazione. Già da Siena si attende una risposta almeno in termini d orgoglio. Sempre se avremo la Fortuna di sconfiggere i Maya…

Fonte foto: Sportmediaset.it

Articolo modificato 20 Dic 2012 - 19:39

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Scritto da
redazione