Erano ancora gli anni dell’Impero austro ungarico, quando un grande calciatore soprannominato il “Mozart del calcio”, suonò per sè e per la sua vita coraggiosa, il più silenzioso degli addii. Così silenzioso che mai nessuno ha potuto stabilirne con certezza mezzo e ragione.
Erano gli anni lontani dei luoghi segreti, delle idee tenute nascoste, delle cose protette e i pensieri riemersi durante le ore fredde e buie delle notti trascorse sotto il lume della malinconia. Chi poteva, quel piccolo e prezioso bagaglio di grandi speranze lo serbava per i momenti di maggior fiducia, rivelando ai figli e ai nipoti il contenuto di quello scrigno sacrilego che custodiva i desideri e le ansie degli uomini liberi.
C’era chi poteva nascondersi con essi, e chi, con fare altrettanto segreto, serrava per proteggere le sue più preziose intimità. Era il segreto rinchiuso nel segreto, ed era necessario, perché poco sarebbe valso a distruggerne il sottile e delicato strato di ceralacca che avrebbe gettato nell’orrore il suo custode, a volte persino ignaro di possedere i codici indomiti e inquieti della libertà. Ma c’era pure chi aveva ricevuto in dono una forma pubblica di talento, che non avrebbe potuto nascondersi dietro una notte clandestina o un luogo al riparo dalla persecuzione. Avrebbe dovuto in qualche modo sventolarlo quel mestiere di resistere, quell’ardore sereno e straripante che nella maniera più spontanea possibile avrebbe rivelato il coraggio della naturalezza.
Erano gli anni del pallone a stretto contatto coi capricci dei gerarchi, erano gli anni del calcio che rinunciava ai campioni, del soccer di Julius Hirsch, di Arpad Weisz, gli anni di Sindelar, il “Mozart del calcio”.
Matthias Sindelar nacque nel 1903 a Kozlov, allora su territorio austro ungarico, poi in Cecoslovacchia, oggi in Repubblica Ceca. Giocò prima nell’Hertha e poi nell’Austria Vienna. Attaccante manovriero, Matthias brillò per classe sopraffina e capacità realizzativa. Punto di riferimento della prima linea della nazionale austriaca, fu considerato da Vittorio Pozzo l’incubo delle difese, a causa dei suoi movimenti imprevedibili e geniali, della sua tecnica fuori del comune e della sua capacità di smarcare in qualsiasi momento un compagno di squadra. Sindelar fu il simbolo di quella grande squadra che fu la nazionale austriaca prima dell’annessione, avvenuta alla fine degli anni ’30 all’impero nazista.
“Cartavelina”, così era pure soprannominato il “Mozart del calcio”, colui che proprio in occasione della partita che avrebbe dovuto suggellare l’annessione politica al reich di Hitler, fece l’unica cosa in potere di chi in quegli anni tenne a difendere il baule degli onori di fronte a ogni tentativo d’invasione. Sfoderò tutto il suo talento, durante la celebre partita giocata il 3 aprile del 1938. Sindelar era uno che aveva umiliato le più grandi squadre europee. Italia e Ungheria non erano state risparmiate da colui che il poeta Caminiti aveva definito “Il rapsodico del calcio, uno stelo appeso a due occhi azzurri”. Addirittura gli ungheresi avevano dovuto subire un clamoroso 8 a 2 dall’Austria guidata da Matthias che in quella partita segnò tre goal.
Matthias si distinse anche come calciatore all’avanguardia, essendo anche tra i primi sportivi a ricevere compensi per la sponsorizzazione di prodotti commerciali. Ma l’Europa in quegli anni cambiava come la maturità di un bambino. Ogni anno sembrava essere completamente diverso da quello precedente. Il nazismo iniziava a imporre la quasi totale estromissione degli ebrei dalla vita politica e sociale dei propri territori. La grande persecuzione era iniziata, ma i calciatori erano stati risparmiati, almeno fino a quegli anni.
Nell’aprile del ’38 si giocò a Vienna la gara ufficiale tra Austria e Germania, che avrebbe avuto un valore storico molto significativo. Sarebbe stata l’ultima partita giocata dagli austriaci che, dopo il fischio finale, si sarebbero sciolti, per cedere alla selezione tedesca i calciatori migliori, affinché unificare anche nello sport quello che lo strapotere nazista aveva già imposto alla politica. Sindelar si rifiutò, e si rifiutò pure di alzare il braccio per il saluto nazista prima dell’incontro, così come era stato previsto dal protocollo degli organizzatori. Prima del fischio d’inizio, Cartavelina e il suo compagno di squadra Karl Sesta, invece che salutare come avrebbero voluto i gerarchi tedeschi, di fronte alla tribuna d’onore, si distinsero perché, nonostante le direttive del reich, il loro braccio non si levò. In campo Matthias giocò una delle partite più belle della sua carriera, incantando gli spettatori e segnando il gol decisivo che diede la vittoria agli austriaci. Una squadra si congedò, ma non l’onore e la classe di un uomo. Se l’Austria si era arresa a diventare l’Ostmark, “Provincia orientale”, Matthias Sindelar era restato Matthias Sindelar.
Nel gennaio del 1939, Cartavelina e la sua compagna Camilla Castagnola, ebrea italiana, furono trovati privi di vita. Molte ipotesi sono emerse da una morte sulla quale mai è stata fatta luce. All’inizio si pensò a un suicidio, poi alla possibilità che a uccidere i due fosse stato il monossido di carbonio sprigionato da un difetto del caminetto che si trovava nell’appartamento. L’unica certezza è che i due furono seppelliti in fretta dalle autorità senza indagini approfondite.
Della storia del Mozart del calcio si sono occupati molti scrittori. Friedrich Torberg, poeta austriaco, gli ha dedicato l’ode “Sulla morte di un calciatore”. Di Sindelar, pare, fosse amata anche la sua umiltà, addirittura pari al suo grande talento. Una volta, dopo l’allontanamento del suo vecchio presidente a causa delle sue origini ebraiche, Matthias gli si avvicinò dicendogli: “Il nuovo fuhrer ci ha proibito anche di salutarla, ma io vorrò sempre dirle buongiorno, signor Schwarz, ogni volta che avrò la fortuna di incontrarla”.
Viene in mente la “Sinfonia degli addii” del musicista austriaco Haydn, così intitolata per rivendicare, in maniera del tutto allusiva, il desiderio di allontanarsi dalla corte del mecenate per tornare presso le proprie famiglie. Durante l’esecuzione, infatti, poco a poco, i musicisti abbandonano l’orchestra spegnendo la candela del proprio leggio. Ecco come in silenzio si può dir tutto, lasciando che anche dopo l’addio qualcosa parli ancora per sé.
Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka
Articolo modificato 28 Dic 2012 - 14:02