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19 maggio 2013. Il giorno dei giorni. 23 anni dall’ultima volta. 23 anni di soprusi e vendette, rovinose cadute ed esilaranti risalite. Scampati ad almeno due profezie apocalittiche: non si poteva morire prima che cielo, mare e terra si perdessero in un’unica cromatura. “Tre colori patriottici fusi nell’azzurro – Terzo capitolo”.

VERTIGINI. E’ arrivato. Quel lungo pomeriggio “troppo azzurro” scandito da Adriano. Juventus 80 punti, Napoli 79. Una sola lunghezza di distacco, pesante come un macigno. Bianconeri a caccia della vittoria-scudetto in casa della Sampdoria, a sua volta in lotta con il Bologna per restare agganciata al treno serie A. Azzurri ospiti della Roma di Zeman che, tra alti e bassi, è giunta a giocarsi all’ultimo respiro il terzo posto Champions con l’Inter.

Due ore di adrenalina pura all’orizzonte, le coronarie morbide sono invitate ad espatriare. L’attesa spasmodica si respira da giorni, soffocante come gas nervino. Cinguettii risuonano dalle Isole Galapagos al Mozambico , dal Kirghizistan al Guatemala, sottolineando il fremito del Pulcinella emigrante. Immersa nel turbinio di speranze e scongiuri Napoli, paradossalmente, tace. La città più pittoresca del calcio nostrano si lascia avvolgere dalla sorella superstizione e saltella con la spensieratezza di una quattordicenne. Nessun vessillo appeso ai balconi, per le strade l’azzurro è bandito. L’edicolante non vende quotidiani sportivi. Il solito gruppetto di anziani che si scatena su Mazzarri e De Laurentiis è stranamente intento a commentare l’operato del nuovo Ministro alle Pari Opportunità, una ventiduenne di origini egiziane, piatto forte del nuovo governo Berlusconi. Snobbare l’evento in modo così plateale equivale ad esserne consapevolmente inghiottiti.

Ore 14,50. Stadio “Olimpico” di Roma gremito in ogni ordine di posto. 15mila i napoletani, assiepati inizialmente nei “Distinti ospiti” e poi tracimati nel lembo di curva Nord assegnato loro per l’occasione. Tante le cimici azzurre anche in altri settori. L’assordante silenzio di Partenope si tramuta in un tripudio di cori e colori che squarciano la quiete della Capitale. Il termometro oscilla sui 28 gradi, ma l’umidità da tricolore scioglie pensieri e parole. Attivati gli idranti per rinfrescare i tifosi romanisti stipati nella Sud. Gli avversari “terroni”, discriminati in tutti gli stadi d’Italia, non si lasciano sfuggire l’occasione: “Acqua e sapone, ci vuole acqua e sapone…” cantano a squarciagola.

BUIO. Squadre in campo. Arbitra, o meglio “dirige”, il temutissimo  Tagliavento. Si attende la contemporaneità con Marassi e San Siro, dove sono di scena Juventus ed Inter. Secondi infiniti. Lame taglienti su un corpo già ampiamente martoriato. Anche l’Olimpico ora sembra imbalsamato. Siamo ad un passo dalla soglia. PARTITI!!!

Primi minuti di studio, o almeno così si dice. In realtà è tensione all’ennesima potenza, quel nodo in gola che riduce anche l’elasticità muscolare. La Roma imbastisce il gioco, affidandosi all’esperienza di capitan Totti e alla verve dell’argentino Lamela. Il Napoli attende famelico la fine delle danze per ripartire con il suo trio delle meraviglie Hamsik-Cavani-Insigne. Lorenzino, al suo primo anno in azzurro, gioca da titolare i 90′ che potrebbero ricucire lo scudetto  sul Vesuvio, facendolo esplodere solo di gioia malgrado i continui inviti dall'”estero” affinchè imperversi con la sua lava omicida. Cannavaro gestisce il pacchetto arretrato, sono lontani i giorni bui della sua squalifica, annullata a fine gennaio dal Tnas così come i 2 punti di penalizzazione alla squadra.

Con il passare dei minuti l’incedere giallorosso diviene sempre più arrembante così come inquietante è la timidezza partenopea. Ancora una volta gli azzurri sembrano impantanarsi a pochi metri dalla bandiera a scacchi. Quando scocca la prima mezzora di gioco la banda Mazzarri è alle corde, la Roma sfonda puntualmente su entrambe le fasce ed è pericolosa prima con Totti, poi con Lamela e Osvaldo, infine con De Rossi che stampa il palo di testa sugli sviluppi di un angolo. Azzurri rintanati, abili però a costruire una perfetta giocata di rimessa con Hamsik che lancia Maggio nella spazio, ma l’esterno sparacchia in curva da buona posizione. Minuto 34. Totti sulla sinistra premia la sovrapposizione di Balzaretti. Cross del terzino della Nazionale e stacco imperioso di Osvaldo. De Sanctis si oppone come può, ma la palla scivola sui piedi di Pjanic. Il tap-in è vincente. 1-0. Sfortuna vuole che sul colpo di testa del centravanti giallorosso il bosniaco fosse chiaramente in posizione irregolare. Tutti i calciatori di Mazzarri circondano Tagliavento, in preda ad un indigesto dejà-vu. Nè lui, tantomeno il guardalinee Copelli e l’assistente di porta Rizzoli hanno ravvisato l’irregolarità. Il Napoli è sotto, calpestato dall’ennesima ingiustizia.

Nervoso, confuso e, di conseguenza, vulnerabile. Passano appena due giri di lancette. Punizione dalla trequarti di Pjanic, sbuca sul secondo palo Castan completamente dimenticato dalla retroguardia partenopea. Incornata e palla sotto la traversa. La solita maledetta palla inattiva. 2-0. Tracollo. Il colpo di grazia arriva da Marassi. Rigore per la Juventus, presunto fallo di mani in area di Gastaldello. Ma la palla è rimbalzata sul braccio di Quagliarella e non del difensore doriano. L’attaccante non confessa l’equivoco, Vidal trasforma il penalty. Al riposo bianconeri in vantaggio in quel di Genova, mentre il Napoli naufraga nelle acque romane. Il sogno sfuma sotto i propri occhi. Aprire il pugno e scoprire una mano vuota. Che pugnalata al petto! Un miracolo, forse, può non bastare.

EDEN. Ad inizio ripresa la buona novella giunge da Milano. Milito riagguanta l’Udinese, passata in vantaggio nella prima frazione di gioco con Di Natale. Se l’Inter dovesse cogliere i tre punti, a nulla servirebbe il successo della Roma. I giallorossi, con il destino che vacilla, entrano in campo con un orecchio e mezzo rivolto alle radioline. A prescindere da ciò, conta la voglia di non mollare mai di Cavani e compagni. Il Dna di questo team non mente. Il Matador elude il fuorigioco e sul lancio di Inler batte Goicoechea con un lob beffardo. 27 reti il suo bottino, l’indiscusso capocannoniere del torneo rimette in carreggiata il Napoli. Il resto lo fa Maresca a Marassi al 61′: punizione disegnata con il compasso, palla sotto l’incrocio alla destra di Buffon. A Genova è parità tra Samp e Juve.

Nel frattempo il derby del sud diventa rovente, volano insulti e fioccano cartellini gialli. Totti sgambetta Hamsik e rischia il rosso. L’inerzia della gara è cambiata, ora è il Napoli ad attaccare a testa bassa. Cavani sfiora il pari con un destro radente a fil di palo, un siluro di Inler s’infrange sulla traversa. E’ il preludio al gol. Angolo dalla destra di Hamsik, Piris respinge corto. Al limite dell’area è appostato il Magnifico. Rientra sul destro evitando il tackle di Florenzi, calcio a giro di rara potenza e precisione. Una gemma che bacia il palo interno e si insacca, è 2-2 al 75′. Il talento di Frattamaggiore non crede ai suoi occhi e scatena l’inferno nella curva partenopea. La Juve è in 10 a Marassi per l’espulsione di Chiellini, l’Inter sta schiantando l’Udinese con un perentorio 4-1. All’Olimpico c’è una sola squadra in campo, ma i tifosi giallorossi non vogliono che la squadra molli: non sopporterebbero veder festeggiare gli odiati napoletani nella propria dimora.

Ma la pallina sul piano inclinato era stata lanciata. Correva, irrefrenabile. Minuto 85. Angolo dalla sinistra, sul primo palo sfiora la criniera di Cavani. La sfera attraversa l’area piccola e si accomoda sui piedi di Paolo Cannavaro. Proprio lui, la ciliegina più saporita. Nel suo sinistro intriso di rabbia, passione, desiderio c’è la spinta di 6 milioni di anime. 2-3! 2-3! 2-3!

A Genova si consuma la resa della Juventus, festeggiano solo i blucerchiati (il Bologna scivola in B). Nella Capitale, nel frattempo, il Napoli passeggia sui resti della creatura boema.  I tifosi partenopei sono già raccolti a bordo campo, si fatica a trattenere l’ondata. L’Olimpico, nauseato d’azzurro, osserva malinconico e contrariato.

Ore 16,44. Il Napoli è Campione d’Italia per la terza volta nella sua storia. Tutti i protagonisti di questa fantastica cavalcata, stremati e denudati, sono in balia dei sostenitori in delirio. Cannavaro e Insigne in lacrime, Cavani prega seduto sulla traversa, Mazzarri e Hamsik portati in trionfo e poi spariti nelle fauci della folla. In città si spezza l’incantesimo, un rombo d tuono precede la tempesta festante, folle e genuina come la felicità di un bambino l’ultimo giorno di scuola. Il cuore pulsante di Napoli batte all’impazzata, rovesciando sangue azzurro in tutte le sue arterie. Un’emozione che da troppo tempo non sbarcava in questi lidi, un’utopia che ha assunto le meravigliose forme della realtà.

Amici lettori, era solo un sogno. Di quelli che generano un sorriso il mattino seguente, defibrillatori di buon umore per un’intera giornata. Resta ibernato nel nostro archivio. Magari un giorno, quel giorno, qualcuno si ricorderà di infilarlo in un microonde. Buon anno, Napoletani!

 

Ivan De Vita

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