Jeppson…il Santo

Ero bambino, ancora non conoscevo il valore della religione nè m’intendevo di dogmi e di morale. Ma come tutti i bambini avevo una straordinaria inclinazione all’insulto, alla parolaccia ribelle, all’offesa.
Di Madonne e calendari me ne intendevo, non perché li sentissi a casa mia, unicamente perché frequentavo una meravigliosa scuola elementare pubblica dove vigeva un socialismo estremo; quì mescolati c’erano il pidocchio e il profumo, la pelle e lo straccio, il soldo e la tasca vuota, il ben dire e la bestemmia. E si sa, i fanciulli sonno, al di là delle apparenze, portatori di un demoniaco intrinseco, e fu così che scelsi la devianza e lo sboccare.

Proseguivo così nelle mie performance infernali, guadagnandomi un passaporto esclusivo per un fantomatico luogo di pena, fino a quando sentii una parola, un incrocio di sillabe, un suono che a me sembrò esoterico perché pronunciato proprio a casa mia. Credetti a una parola inaccessibile, a una bestemmia sovrumana, al nome di Dio capovolto e criptato. La sentii da mio padre, in un accesso di rabbia; la parola era preceduta da un “Mannaggia”, e questa osservazione mi fece inclinare ancor di più verso immagini bestiali e inconfessabili.

Qual era questo lemma che mi fece rabbrividire nel suo essere oscuro, nella maniera e con il livore con cui veniva pronunciato? Il sintagma incriminato era “<em>Mannaggia Jeppsoooooooooooooon“. Spaventoso vero? Figuratevi nella mente fragile di un bimbo di appena sette anni. Credetti di essermi impossessato di una parola magica, di una dicitura luciferina, e coltivai il mio segreto nella speranza di un prossimo esordio, e proprio a tavola coi miei e gli zii.
L’occasione si presentò propizia proprio la Domenica successiva, quando in un accesso programmato di ira gettai alla platea mangereccia quella bestemmia misteriosa che avevo appreso involontariamente. Rimasi sotto choc, mia madre alzò gli angoli della bocca per un sorriso di benevolenza, gli altri non furono toccati da quella che io credevo una bestemmia papale.
Fu allora che decisi di scoprire di più su quella parola, su quel Jeppson non meno misterioso di quell’Aristotele che fabbricava l’universo.

Finalmente quella “parola” uscì dal suo statuto di ambiguità ontologica per manifestarsi in tutto il suo splendore e in tutta la sua salvezza.

Questo ciò che scoprii.

Jeppson era un calciatore svedese nato nel Maggio del 1925 in Svezia. A 23 anni si trasferisce Djurgardens IF e due anni dopo vince la classificia capocannonieri del campionato svedese (1950-1951) con 17 reti e approda in nazionale dove sostituisce Gunnar Nordahl. Disputa un grande Mondiale nel 1950, dove con una pregevole doppietta contribuisce in maniera decisiva all’eliminazione dell’Italia. Da questo momento viene soprannominato Hasse Guldfot (Hasse piede d’oro). I campionati che “contano” si accorgono del nuovo fenomeno, e gli inglesi del Charlton Athletic lo ingagiano. Quì Jeppson rifiuta lo status di professionista per non perdere il suo status di tennista (campione nazionale studentesco). On Ingholetrra contribuisce a risollevare le sorti della squadra, mettendo a segno una magnifica tripletta contro l’Arsenal.

Nella stagione 1951-52 il presidente dell’Atalanta lo acquista per 30 milioni. A Bergamo delizia folle e critici, mettendo a segno ben 22 reti. E’ a questo punto, in un intreccio di politica e sport, che l’armatore e presidente del Napoli Achille Lauro pensa ad un acquisto da novanta per orientare l’elettorato verso la sua persona in vista delle imminenti elezioni al Comune di Napoli. Fu l’allora allenatore Eraldo Monzeglio a suggerirgli l’acquisto del fuoriclasse svedese.

Lauro chiese il giocatore all’Atalanta, che in via provocatoria richiese l’iperbolica cifra di 100 milioni. Lauro non battè ciglio, e pagò l’intera cifra richiesta. Jeppson si trasfromava così in un simbolo di riscatto del Sud martoriato, di una città che voleva competere e risorgere. La città impazzì, Napoli e il Napoli avevano battuto la concorrenza dei più grandi club italiani, e Lauro sfruttò questa onda di entusiasmo per presentarsi come l’uomo della rinascita. Il primo campionato di Jeppson è altalenante, ma il Napoli raggiunge comunque un grande piazzamento, il quarto posto alle spalle delle grandi del Nord. In città c’è delusione, i tifosi avevano sperato in un Napoli grandissimo. L’anno successivo Jeppson si riscatta con una grande stagione in cui timbra per 20 volte il cartellino, nonostante i suoi gol il Napoli non riesce ad andare oltre il quinto posto. E’ di questi tempi la proverbiale espressione “E’ caduto o’Banco’ e’ Napule”, ad ogni fallo sullo svedese.
La stagione 1954-1955 comincia a segnare in declino di Jeppson. Fuori dal campo il suo amore per una tennista fa discutere, non segna per 5 mesi, i tifosi insorgono, ma basta un gol alla Roma per riaccendere l’amore nei napoletani. Chiude la stagione con 10 gol.

La stagione 1955-56 si annuncia magica. Il Napoli acquista Vinicio e si forma la bomba d’attacco VH (Vinicio-Hasse).La gara dell’Ottobre con la Pro Patria è miracolosa. La bomba esplode, il Napoli sommerge per 8-1 gli avversari con tripletta di Vinicio e doppietta di Jeppson. Ma è solo un episodio, il Napoli terminerà quella stagione al quint’ultimo posto salvandosi a stento. A fine stagione Jeppson lascia Napoli e approda al Torino, dove chiude la sua carriera nel 1957.

Napoli gli è rimasta nel cuore, e Lui nel nostro. Il caro Hasse non sa quante anime ha salvato dall’Inferno, non sa che la famosa imprecazione “Mannaggia Jeppson” lo ha reso eterno, rievocato ilioni di volte al giorno. Ormai non è più un uomo, è una parola, e le parole hanno il pregio di non corrompersi. Grazie Jeppson per avermi salvato senza saperlo.

Carlo Lettera
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