Cinque punti, forse, come giustizia comanda, tre, non sono niente. Sono questi numeri, e un’altra manciata di partite a dividerci da un sogno che non riusciamo a confessare neanche a noi stessi.
Ci crediamo o ci speriamo?
E’ importante interrogarsi sulla valenza di questi due verbi, dalla loro interpretazione soggettiva dipende il nostro stato d’animo futuro.
Sperare è rivestire un’illusione con i colori della volontà, è una preghiera rivolta a un Dio in cui in fondo si dubita, è svoltare la strada e augurarsi che ci sia l’incontro perfetto.
Credere è puntare l’unica moneta su se stessi, è girare l’angolo ed essere sicuri di incontrare quella persona. Credere è una preghiera che non si indirizza alla divinità, ma a noi. Chi crede disegna il futuro come un evento, chi spera affoga nelle acque della possibilità.
La speranza si aggrappa agli altri o al fato, la credenza ha un’unica radice, e questa affonda in una ipertrofica convinzione.
Lo scudetto allora è una speranza o un credo? Ci crediamo o ci speriamo? Non esistono purtroppo termini intermedi, o si appartiene al regno dei caldi, o dei freddi. Recuperando un verso biblico “i tiepidi saranno vomitati“.
Un vero tifoso ci crede, non ci spera. Ci crede perché il calcio fonda il suo principio su un’irrazionalità originaria, e allora le argomentazioni logiche non servono ai tifosi, abituati a nutrirsi di vere e proprie visioni. Sono i filosofi coloro che portano le argomentazioni per dissuadere da un assunto, coloro che si bagnano nella realtà delle cose. Per il filosofo del pallone il Napoli può solo sperare in un crollo della Juve.
Ma i tifosi sono di altra stirpe, appartengono al regno della poesia. Al tifoso nulla appare più vero della sua voglia, nulla più razionale del suo desiderio. La logica, l’ermeneutica, il principio di non contraddizione, ma a cosa servono? La filosofia è il cancro della vita attiva, è la discarica dove confluisce la melma del non fatto.
Noi siamo poeti, noi ci crediamo!
Carlo Lettera
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