Il Vesuvio, la Mole e la piccola ignoranza

garibaldiVesuvio, lavali con il fuoco. E subito un putiferio, subito a scandalizzarci, a pretendere provvedimenti, a seguire le pantomime degli altri, i piagnistei che non ci appartengono.

Cori partiti da un settore preciso dello stadio juventino, cori tesi a inasprire quella che è stata e sarà, almeno per noi napoletani, solo una sana rivalità di campanile. Che colpa ne abbiamo se gli altri non possono fare a meno di ricordarsi di noi? Abbiamo forse noi chiesto di essere ricordati? Ad ogni insulto dovrebbe seguire un sorriso, non un’indignazione.

Sorrido perché l’ignoranza mi ha da sempre strappato una riflessione sulle sue origini, e quando mi fermo a riflettere riesco meglio a vedere e a sentire. Se quel “lavali con il fuoco” mi fosse stato urlato dal re Umberto I, o da Marchionne, o da Agnelli, bhè, allora il sorriso me lo sarei levato dal volto. Ma a scandirlo sono stati degli uomini a cui mancano i principi fondamentali dell’intelligenza, le coordinate elementari del pensiero. Questi personaggi m’impietosiscono e mi rallegrano, non mi feriscono, non mi turbano.

L’offesa è tale se pronunciata da qualcuno che riteniamo stimabile, degno del nostro sentire, bilanciato al nostro spessore. Se l’insulto fa da stampella all’invidia allora ben mi rallegro.

Credo che l’atteggiamento più saggio sia far finta di non sentirli. Proviamo a utilizzare un approccio pedagogico che con i bambini ha portato a grandi risultati. Quando sbraitano e dicono parolacce i genitori assennati devono lasciar fare. Quando il bambino si accorge che il suo deprecabile e stupido show non ha ottenuto i risultati sperati, smetterà di provocare, e zitto sfumerà nell’anonimato.

Io quei cento non li sento, il mio Vesuvio mi lava ogni mattino, ma gli occhi. E il vento che soffia dal mare me li asciuga insieme al sole che mi sviene sul volto. Non posso dir così della Mole, non posso far nulla se l’umidità del vostro mattino vi stampa sul viso un’ombra di pianto.

Carlo Lettera
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