Era il 20 agosto, eppure quel pomeriggio, in Sila, del torrido ed afoso clima che contraddistingue l’estate, vi era ben poco.
A mille metri d’altitudine c’erano pioggia e freddo.
Imbriani era in ritiro con i giocatori del Benevento.
Rientrato in albergo, misura la febbre: la colonnetta di mercurio schizza a 40.
Nei giorni antecedenti, il calciatore che 19 anni fa fece il suo esordio nella massima Serie con la maglia del Napoli, aveva lamentato dolori forti, ragion per cui si era imbottito di farmaci ed aveva trascorso notti insonni.
Broncopolmonite, la prima diagnosi.
Tumore, la seconda.
Linfomi in più punti del corpo, all’ospedale di Perugia ne scoprono subito uno maligno all’adduttore.
Questo è l’incipit della drammatica storia di Carmelo Imbriani, ex calciatore del Napoli, ma soprattutto un uomo che il prossimo 10 febbraio si accinge a compiere 37 anni, marito, padre, persona umile e ammodo, stimata e stimabile, chiamato a vincere la partita più impegnativa ed altresì infima della sua vita, fuori dal rettangolo verde.
“Segnerò un gol anche al destino”.
Ha dichiarato lo stesso Imbriani, dall’ospedale di Perugia, terreno di gioco che “ospita” l’incontro.
Non molla Carmelo.
Non è disposto a cedere campo a quel brutto male, come è giusto che sia, al cospetto di qualsivoglia avversario da eludere e sopraffare.
Non gli fanno mancare il proprio supporto le persone che lo amano, la sua famiglia, gli ex compagni di tutte le squadre in cui a militato: Boskov, Taglialatela e Pecchia sono i più assidui nel fargli visita, Ciro Ferrara gli ha dedicato un video messaggio, il Benevento continua ad affiancarlo con striscioni e dediche sulle maglie a ogni gara, Paolo Cannavaro ha seguito l’esempio di Cavani indossando, sotto quella ufficiale, una seconda maglia, “Imbriani non mollare”. Il Matador, inoltre, gli ha inviato una sua maglia con la dedica “Carmelo sei forte, con affetto”.
E soprattutto innumerevoli sono i messaggi che gli giungono dai tifosi, del Napoli e non solo.
Perché, al cospetto di queste crudeli realtà che scalfiscono e straziano la quotidianità di noi tutti, le rivalità sportive e gli stolti sfottò si ammutoliscono, perché c’è stato, c’è o ci sarà un “Carmelo Imbriani” nella vita di noi tutti e questa amara, sconcertante, realtà assume crescente consapevolezza dentro ciascuno di noi.
Ormai, la distaccata indifferenza con cui ci si faceva scudo allorquando si apprendevano notizie analoghe a questa, è stata da tempo accantonata dalla mera percezione che non si può più rigettare la paura, imbavagliandola con un “Sono cose che capitano agli altri”.
“I primi giorni sono stati tremendi. – Ha raccontato lo stesso Imbriani in un intervista rilasciata a “Il Mattino” – Non me l’aspettavo e facevo tanti pensieri: non avrei voluto farmi vedere senza capelli, così secco… Poi ho capito che non devi essere ossessionato e non devi vergognarti per una malattia, ma affrontarla con determinazione. Mi sono fatto forza pensando alle mie donne: Valeria, mia moglie, Sofia, mia figlia, che ha due anni e Fernando (nato lo scorso 19 ottobre). La prima chemio è stata una botta. Era importante farsi forza psicologicamente perché altrimenti affronti male la terapia. Me lo hanno detto altri ammalati e lo ripeto anche io: diamoci forza. La medicina ha fatto passi da gigante, c’è sempre la speranza. Bisogna crederci e non lasciarsi andare.”
Il coraggio, la combattività e la voglia di non mollare che l’Imbriani uomo sta mostrando e dimostrando, possono e devono fungere da esempio per tutti coloro i quali sono intenti nella medesima battaglia.
Affinché non si sentano soli, ma piuttosto coesi in un unica, grande squadra, congiunta nell’unanime obiettivo di sopraffare quel turpe ed efferato avversario comune.
Dalla sua pagina Facebook, curata da persone a lui vicine, Imbriani ha esternato le sue emozioni mediante un post di ringraziamento: “È dura. È veramente dura. Mai mi sarei sognato di dover affrontare una partita così difficile da vincere ma voglio farlo. Lo devo ai miei figli, a mia moglie, alla mia famiglia. Agli amici che mi hanno visto crescere e a quelli che ho conosciuto per strada. Fuori da queste quattro mura ci sono tante persone che ci credono e le loro testimonianze d’affetto mi danno la forza per reagire. Lo devo,quindi, anche a loro. Grazie per le belle parole spese a mio favore, mi avete commosso. L’augurio che faccio a me stesso è quello di avere presto la possibilità di ringraziarvi di persona. A presto. Grazie anche da parte di tutta la mia famiglia”.
Emblematico ed arguto – proprio alla luce del momento in cui l’ex calciatore imperversa – la riflessione che Carmelo dedica ai beceri ed infimi “Inni al Vesuvio”: “Anche io mi rivolgo al Vesuvio, chiedendogli di non dare ascolto a chi approfitta di una partita di calcio per sfogare i propri peggiori istinti, anche quello razzista, che evidentemente ancora esiste. Una città più bella e più generosa di Napoli quelle persone non l’hanno mai vista”.
Queste ultime parole certificano con una nuda ed imbarazzante inconfutabilità, la necessità di accogliere nel “nostro” calcio un’anima schietta e limpida come la sua.
Ma, ancora di più, è tangibile la forte speranza di noi tutti di vederlo uscire trionfante dal rettangolo verde, al termine di questa ostica e tediosa partita, accompagnato negli spogliatoi da un altisonante e fragoroso inno alla vita.
Affinché possa insegnare a suo figlio a giocare a calcio e con gelosa austerità “interrogare” i fidanzatini di sua figlia e soprattutto possa divenire una “speciale” bandiera azzurra che confondendosi tra le trame del cielo, sia capace di offuscarne l’immensità grazie alla smodata magnificenza del messaggio che in essa vi è intarsiato: non esistono nemici invincibili per i guerrieri veri.
Per queste e per infinite altre ragioni, anche SpazioNapoli dice: “Imbriani non mollare!”
Luciana Esposito
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