C’è chi siede in panca e aspetta, indomito, le proprie sorti d’inizio estate, a crogiolarsi al sole di campetti solitari, per tenere a caldo i muscoli e lanciare messaggi alla sua prossima nuova platea, c’è chi vomita rabbia per le esclusioni che un mister troppo indulgente si ostina a perseguire senza tanti scrupoli, c’è anche chi snobba gli ultimi mesi di contratto per dedicarsi anima e corpo a coltivare le nuove ambizioni sulle colonne dei quotidiani, in una spasmodica attesa che sembra ancora troppo lontana per esser già così ansiosa. Eppure c’è l’esempio che sfata il tabù del calciatore emblema del danaro, prigioniero dei cavilli contrattuali che ne fanno spesso una marionetta da stadio, abile ad abbracciare i nuovi progetti, ricamati su pizzi dorati e imbrattati da fiumi di danaro e sponsor generosi.
C’è anche l’uomo calciatore, colui che si ritira in un angolo buio, lontano dalle luci della ribalta, per riflettere il suo nuovo percorso, senza dimenticare di mantenere una promessa fatta prima con il cuore e poi con la mano che ha apposto la firma su di un contratto che presto lo renderà libero di andare altrove a continuare una carriera costellata da poche vittorie, tante soddisfazioni personali, ma che hanno nelle radici la linfa del professionista che va fino in fondo ad onorare una maglia simbolo di una tifoseria che lo ama e che lo amerà anche quando non sarà più tinta nei propri colori d’appartenenza. Hugo Campagnaro, l’uomo con la valigia sul letto, l’armadio disfatto e la maglia sempre sudata ed imbrattata di terra di campo, rosso sangue e fasciature rigide, le ginocchia sbucciate e il ghigno tinto d’azzurro, a proteggere la dentatura come un pugile pronto ad assorbire i pugni dell’avversario di turno, in attesa che arrivi il round decisivo che metta fine alle botte, ma senza mai pensare di tirarsi dietro.
Qualcuno lo ha chiamato toro, altri lo definiscono un guerriero, i soliti soloni “sparasentenze” (troppo spesso affrettate) lo avevano già definito un traditore, pronto a sedersi in tribuna poiché appagato e privo di quella scossa che serve per scendere in campo e dare tutto. Già, gli avevano detto prematuramente che non avrebbe dato tutto, ed invece lui, Campagnaro, partita dopo partita sta dimostrando a chiare lettere di che pasta è fatto e quali sono i principi fondamentali di un uomo abituato a combattere fino all’ultima battaglia. Ad un guerriero non gli si può chiedere di deporre le armi, ad un calciatore con la professionalità di Campagnaro si può soltanto chiedere di fare da monito in un calcio che ha dimenticato troppo in fretta che questo è pur sempre un gioco, purtroppo offuscato dai contratti, deturpato dal potere del danaro che acceca i propri protagonisti e disgusta gli appassionati. A fine stagione diremo grazie ad Hugo e ci augureremo di annoverare tra le fila degli azzurri dieci, cento, mille giocatori come lui, abile ed indomabile, devoto al rispetto di un rapporto che si chiuderà a breve, con non pochi rimpianti di buona parte dei supporters partenopei. Ma la decisione è presa, le strade si divideranno, ed un giorno diremo di aver avuto in squadra un grande combattente, dal cuore immenso e dall’animo nobile, che non si fermava mai neanche davanti alle calunnie gratuite di chi troppo presto aveva perso fiducia in lui. Ma lui era pur sempre Hugo Campagnaro, l’indomabile…