Si può consegnare per l’ennesima volta un compito infarcito d’errori, pur essendo in possesso d’un dizionario personalissimo ricco e abbondante, con sinonimi e contrari che tracimano dalla memoria. Si può essere il Napoli – secondo in classifica, a cinque punti dalla Juve e con sei di vantaggio sulla Lazio – e poi appallottolare se stesso, farne carta straccia e presentarsi sotto mentite spoglie: l’alter ego di Zuniga e di Maggio, di Dzemaili e di Pandev. Si può essere fenomeni extraterrestri e/o da baraccone per una notte, una disgraziatissima notte, nella quale, però, emerge l’indizio che non t’’aspetti e che invece stavolta cova nell’ombra, dopo essersi proiettato sull’erba così poco verde dell’Olimpico. Lo chiamano approccio o anche impatto: è l’interpretazione (a volte libera) che si dà ad un tonfo, invece protrattosi più a lungo, un’ora o novanta minuti. A volte succede, perché gli uomini non sono robot, però al Napoli è capitato ancora, a distanza di cinque giorni, e questa sorta di catalessi collettiva ha scomodato le statistiche: la prima volta a Catania, la seconda a Eindhoven (con modalità e circostanze differenti), la terza dal Bologna al Bologna (un black-out da zero punti). Ciclicamente il Napoli s’infila nell’oscurità e non ne riesce a uscire, manco ribaltandosi del tutto, con scelte tecniche e tattiche che sembrano eccessive e anzi lo sono, perché riducono ad ammasso il lavoro e pure talune convinzioni altrimenti solide e rischiano di togliere – attraverso il mischione finale – autorevolezza all’idea di calcio che pure esiste. E’ come lanciare la moneta nel vuoto – testa o croce – o aspettare che la pallina compia i suoi giri. Il Napoli è altro: altro gioco, altra corsa.
Fonte: Corriere dello Sport