C’era il sole il 19 giugno 2005. E c’era uno stadio pieno ad Avellino. L’andata di quella finale play off finì come tutti sappiamo, il ritorno pure. Quella fu una domenica amara, da inferno.
Eppure, come insegna il buon italiano medio, la memoria è corta. Il desiderio di ottenere nuovi traguardi sbrana il progresso negli anni, il progetto compiuto, le tappe raggiunte. Ieri al San Paolo l’amore di un popolo per la sua squadra s’è trasformato in possessione, in voglia viscerale, quasi fisica.
Il napoletano è così, e si sa. Quella di ieri non era un’occasione da giocarsi così. Eppure l’amore ha fatto male. Come in quelle coppie troppo perfette per amarsi tutta la vita Napoli e il Napoli hanno vissuto il loro momento di passione e di odio, facendosi male a vicenda.
Troppa foga, troppa insistenza, nessuna memoria. I minuti finali, a parte qualche sporadico coro di incitamento, si sono snocciolati in un silenzio quasi surreale. A tratti il tifoso urlava, quasi spingendo fisicamente quella palla che non voleva entrare. E non è entrata.
Napoli e il Napoli hanno scritto, ieri, un’altra pagina della loro storia d’amore. Ma non veniteci a dire che è stata una domenica d’inferno, per carità. No, caro Tuttosport, niente inferno a Napoli, niente “Pari e paura” cara Gazzetta. È solo amarezza. Abbiamo sprecato un’occasione grande così, e lo sappiamo. Ma amiamo la squadra come un figlio, forse di più, e ci viene naturale.
Un giorno, forse, impareremo ad amare meno visceralmente, e, forse, cominceremo a ricordare da dove veniamo. Guarderemo nella nostra mente a quella domenica, 19 giugno 2005: quella fu una domenica di inferno. Ieri è stata solo una tappa verso un sogno che non si spegne.
Raffaele Nappi
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