Dentro i vicoli consumati della metropoli antica affollata da leggende e reietti, spuntano, di tanto in tanto, piccoli laboratori dove si riparano gli orologi. I migliori, i più conosciuti, preferiscono non produrne e non venderne, sostenendo che l’orologio è un oggetto utile a nobilitare chi lo indossa e che, per questo, è fatto per durare il più a lungo possibile.
Tra i viottoli della Napoli storica vicino Piazza Dante, nel vico Cisterna dell’Olio c’è uno dei più celebri laboratori dell’arte orologiaia napoletana. Lì, lavorano i Caropreso, storica famiglia della tradizione partenopea, che da generazioni si occupa di riparare gli orologi più preziosi e i congegni più antichi dell’arte che misura il tempo. Dalle mani dei Caropreso sono stati curati un orologio appartenuto alla regina d’Inghilterra e il primo orologio del mondo prodotto a quarzo.
Poco distante dal laboratorio dove avvengono le riparazioni, è situato il piccolo museo degli orologi, dove sono esposti gli utensili e gli strumenti di lavorazione appartenenti alla celebre famiglia napoletana. Una tradizione lunga e antica cura l’arte segnatempo attraverso quelle modalità discrete e laboriose che soltanto la Napoli d’altri tempi conserva nell’intimità dei suoi luoghi tanto duraturi quanto inesplorati.
E sì, perché ormai la Napoli che in qualche modo avrebbe diritto a contare di più, se ne sta silenziosa e rassegnata, nascosta, non ancora raggiunta dall’azione miserevole del vivere “attuale”, fatto di situazioni facilmente digeribili, che non pensano, che forniscono al mondo esterno un’immagine soltanto maldestramente veritiera di quello che ogni giorno vi accade, nel bene e nel male.
Guardatela con disprezzo, la Napoli becera e incurante del suo far west quotidiano. Parlate prima di tutto dei suoi vizi, delle sue ignobili contraddizioni, magari prendendo a pretesto episodi saltati ai disonori della cronaca come quelli accaduti a personaggi celebri, ad esempio sportivi, rapinati a ripetizione nel bel mezzo della città inospitale e accogliente. Non parlatene male, ma parlatele del male. Raccontatele delle sue più vergognose malefatte, procurandole imbarazzo, ma senza farne scudo dei propri imbarazzi.
Non fate come certi giornaletti estranei a certe sensibilità, che utilizzano un fatto per consumo. Piuttosto consumate il fatto dentro un giudizio netto e duro, addolorato e rabbioso quanto l’affetto che il disagio di ammetterlo procura. Condannate con fermezza, ma senza la previsione di quello che chi non v’appartiene vuole leggervi a tutti i costi, soltanto perché la sua, di previsione, nasconde il malfidato tentativo di condurre altrove vittime e carnefici.
Napoli è infestata da delinquenti e da cittadini che si comportano da tali, in mezzo a un paese geograficamente più esteso, altrettanto infestato da delinquenti e da cittadini che si comportano da tali. Dove vive il modo per distinguersi? Dove s’impara la maniera per non inciampare in stupide e maldestre difese d’ufficio contro episodi di rapine e di malavita, che poi, in qualche modo, si rivelano, con la giustificazione che sono avvenuti anche altrove, un modo ingenuo per coprirle? Nessuno la difenda, questa città che non vuole difesa. Nessuno la inizi a pratica di ridicola avvocatura d’ufficio. Non la merita e non l’ha chiesta.
Ci si aggiri tra gli esempi, aule della scuola troppo spesso meno frequentata. E un giorno, chissà che non s’impari a riparare tutto, pure il tempo. Sennò ci si rassegni al dispiacere che una volta il comico Steven Wright ha riassunto nella battuta, “Ho l’orologio che va avanti di tre ore ma non sono mai riuscito ad aggiustarlo. Così da Los Angeles mi sono trasferito a New York”.
Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka
Articolo modificato 19 Feb 2013 - 14:30