Tra questi, nessuno potrà dimenticare Hans Olof Jeppson, detto “Hasse”, dai tifosi azzurri ribattezzato ‘O Banco ‘e Napule, in riverenza all’entità economica dell’operazione sostenuta da Achille Lauro, allora sindaco della città, per portare in azzurro l’asso svedese nell’anno 1952.
Anche allora la politica faceva di tutto pur di conquistarsi la simpatia popolare e il consenso pubblico. Bastava una manovra a sensazione, per “corrompere” nella maniera più goliardica e guascona, la passione popolare che s’accontentava di sperare anche soltanto nelle soddisfazioni sportive. Ma a Napoli di accontentarsi non se n’è mai parlato. Soprattutto col pallone. E lo capì sin da subito, il grande Hasse, quando, sbarcato nella Napoli “milionaria” di Achille re sindaco della città, il popolo azzurro gli chiese subito di far sì che la Partenope calcistica potesse esultare come fino a quel momento era stato riservato solo alle squadre del nord.
Jeppson aveva iniziato la sua carriera in Svezia, col Kingsbacka, squadra della sua città natale, e da lì aveva presto mostrato al calcio internazionale le sue grandi qualità, fino al raggiungimento della nazionale, sostituendo il grande Gunnar Nordahl, e guadagnandosi l’appellativo di Hasse Guldfot, Hasse piede d’oro. Jeppson approdò in Italia acquistato dall’Atalanta, e coi bergamaschi aveva segnato 22 goal, scatenando un’asta senza precedenti per accaparrarselo.
Pure l’Inter lo aveva voluto, ma i 150 milioni sborsati da Lauro condussero il fuoriclasse svedese all’ombra del Vesuvio. Il popolo napoletano non perse tempo a paragonare il costo del cartellino ai fondi del Banco di Napoli, tanto era stata esorbitante la cifra del prezzo.
Quei milioni fruttarono al Napoli più di 50 goal segnati dall’attaccante venuto dal nord Europa, in poco più di 100 partite. Un ottimo rendimento, ma non abbastanza per regalare alla città che tanto lo aveva osannato, quei traguardi che ancora a lungo sarebbero rimasti allo stato di tabù e di deludente diniego alle aspettative di una tifoseria che faceva del calcio una religione di vita.
Tra le mille imprecazioni, di affetto e di sostegno, Jeppson divenne parte significativa della storia del club, indossando, dopo i 5 anni trascorsi a Napoli, anche la maglia del Torino, nella stagione 1956\1957, prima di chiudere definitivamente la carriera.
Eppure, quel Jeppson che a Napoli aveva segnato tanto senza mai vincere nulla, una volta si tolse lo sfizio di vincere una partita contro ogni pronostico. Appassionato di tennis, nel 1953, chiese ad Achille Lauro di potersi iscrivere a un torneo organizzato a Napoli. Il presidente gli accordò l’iscrizione, a patto che Hasse, qualora vi fosse riuscito, avrebbe giocato sotto un’altra identità, pare, col nome di Verde.
Jeppson giocò il torneo, battendo il tedesco Hermann, celebre campione in Germania e componente della squadra tedesca di Coppa Davis. Clamorosamente, Jeppson lo battè. Il fenomeno del pallone aveva riservato ai suoi sostenitori una gioia conservata a lungo in gran segreto.
Molti hanno raccontato che quando Hasse cadeva sul terreno di gioco, durante le partite, per i tifosi era un sospiro di sollievo vederlo rialzarsi. E c’era sempre chi, con ironia, esclamava: “ ‘o Banco ‘e Napule!”. Adesso, Hasse piede d’oro, Hans Jeppson, non c’è più. È andato via per sempre, ma lasciando a chi lo ricorda, il sollievo di non esser mai caduto.
Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka
Articolo modificato 22 Feb 2013 - 19:05