Il Napoli si è accomodato ufficialmente nel salotto delle grandi a partire dall’intensa cavalcata Champions dell’anno scorso. Audace e sbarazzino ha fatto tremare le gambe a chi di inglese ha nome, cognome e luogo di nascita. Accostamento prettamente mediatico, ma sintomo chiaro di una maturazione in fieri. L’abito da grande squadra è stato indossato, ma quanto ci dona? La taglia XL è abbondante o siamo noi ad aver perso peso? Il secondo piazzamento in campionato, con in cascina gli stessi punti della Juve un anno fa, raccontano di una Mazzarri band col vento in poppa. Ma nelle pieghe di un’annata finora assolutamente da promuovere spuntano segnali di un’immaturità ancora latente, lacune tecniche e manageriali da risanare se si aspira ad essere proclamata “grande squadra”.
Una BIG si riconosce dall’aspetto, dal carisma e dallo charme. Impone il suo gioco, i suoi ritmi, il suo maggiore tasso tecnico. La sua fame. Troppo spesso gli azzurri peccano di personalità, soprattutto nell’approccio sistematicamente provinciale a quasi tutte le gare. La mia falcidiata memoria fatica ad assemblare novanta minuti nel 2012/2013 in cui sia stato surclassato l’avversario, dominato in lungo e in largo. Si è sempre atteso al varco, pugnalando magistralmente la prima defaillance della vittima di turno. Aspettare sornioni e muoversi con oculatezza è opera dei saggi. D’altro canto, però, eccedere in questo atteggiamento denota limiti caratteriali. In fondo l’avventura temeraria premia sempre, in un modo o nell’altro. Il Napoli è strutturato sulla velocità delle sue ripartenze, chiuso a riccio per poi spiegarsi in maniera letale. L’arte di tessere la manovra si nasconde dietro l’ago del sarto Inler, che troppo spesso purtroppo soffre di artrite. L’offesa schietta e cruda dovrebbe provenire dalle fasce, che quest’anno potremmo ribattezzare “bende”, con Zuniga e Maggio alla spasmodica ricerca dei propri connotati. Appena si sbloccherà il Matador tornerà il cinismo, ma lo spettacolo qualche mese fa ha acquistato un biglietto aereo di sola andata Napoli-Parigi.
Una BIG si riconosce dalla mentalità vincente. Non si denigra nemmeno un’amichevole, figuriamoci i trofei. Una città avara di successi negli ultimi 20 anni ripone speranza in ogni competizione, una società ambiziosa ha il dovere di provare ad addentare qualsiasi preda. Non si può trascurare il campionato a favore delle coppe, come accaduto l’anno scorso; non si può primeggiare a livello nazionale e abbandonare Europa League e Coppa Italia con tanto di umiliazione e vergogna. Non si pretende di vincere, ma di “stare sul pezzo”. Ciò vuol dire anche approfittare delle occasioni propizie. Famelici, ingordi, sciacalli. Come non è accaduto contro la Samp.
Una BIG tutela la propria immagine, specialmente in campo internazionale. Le imprese di dodici mesi fa in giro per il continente sono valse il balzo al 46° posto nel ranking Uefa. Giocare con abnegazione anche la tanto snobbata Europa League produce senz’altro un introito sia economico che in termini d punteggio nel caso di un’auspicata qualificazione in Champions a fine stagione. Ma non è questo il punto. E’ la figuraccia a squarciare l’animo dei napoletani. Declassare l’Europa League a “fastidio” fin dal principio ha scatenato esiti raccapriccianti. Può la seconda squadra italiana, solo un anno fa fiera dirimpettaia di corazzate europee, prendere calci e schiaffi nei campetti dei sobborghi ucraini e cechi? Una spiga di grano straziata da tornado impronunciabili e con un fisico improponibile. In un mondo globalizzato è necessario essere impeccabili in ogni circostanza. Solo così si ricama una reputazione con i fiocchi, solo così non si cade nell’oblio come tante altre meteore. “Questo sarebbe il Napoli che vuole vincere lo scudetto in Italia? Questo sarebbe Cavani, uno degli attaccanti più forti del pianeta?“, mi sussurrava sghignazzando un bizzarro tizio ungherese in un pub di Dublino dopo la debacle contro il Plzen. Lascio a voi i commenti sulla competenza calcistica che potesse celarsi dietro quel lungo baffo magiaro. Ma è una perplessità che vaga incontrollata, solo i fatti potranno sopprimerla.
Una BIG è cadere e rialzarsi, raccogliere i cocci e ripartire. Sempre. Con maggiore cattiveria, senza mai demordere. Alle spalle due settimane pungenti, con la cocente eliminazione europea e prestazioni balbettanti in campionato. Già tante chiacchiere, molte a sproposito se si dà un’occhiata alle statistiche. Una cinque giorni thrilling è alle porte. Petto in fuori, urge un’immediata riscossa. Dalle ingrigite ceneri di coppa sia data alla luce una nuova forma d vita, magari tri-colore. Un universo di emozioni scaturite da un’esplosione. BIG…BANG!
Articolo modificato 23 Feb 2013 - 19:44