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Questo il commento dello scrittore napoletano, Maurizio De Giovanni sulla sfida di ieri tra Napoli e Juve.

Le partite si vincono. Le partite si perdono. I campionati passano, ed entrano nella storia; nella memoria rimane qualche episodio memorabile, e i risultati vanno negli annali. Ci sono momenti, per esempio il gomito di Cavani o la mano di Chiellini a tirare la chioma del Matador, che alimentano polemiche. E danno da mangiare a tanti opinionisti; e ci sono imbecilli, come quello che ha tirato il sasso sul finestrino del bus bianconero, che fanno venir voglia di seguire l’hockey o il curling. La settimana passerà, e col prossimo turno ci saranno nuove polemiche e nuovi episodi da commentare.
Ma a volte, solo raramente, succede qualcosa che rimane per sempre nel cuore. Perché il cuore non ha memoria, solo segni: cicatrici che mantengono vivo un volto, un’immagine. Sulla superficie del cuore rimarrà, per quanto mi riguarda, la scena costruita dalla curva B dello stadio San Paolo, ieri primo giorno di marzo del 2013. L’immagine della montagna che è il simbolo di questa città, fiammeggiante in cima come per fortuna non è più da decenni. Un altro Vesuvio, un altro simbolo: quello dell’orgoglio per la nostra terra, quello della risposta più nobile e intelligente ai cori beceri e ottusi dello Juventus Stadium: lavali col fuoco, cantano in coro gli imbecilli, per la stragrande maggioranza figli o nipoti di meridionali che hanno dovuto ingoiare chissà quante umiliazioni negli anni delle disperate emigrazioni. Il simbolo di una terra offesa, ferita; ma bellissima e consapevole della propria peculiare natura. E sotto, solo una scritta, semplice e univoca: terra mia. Senza insulti. Senza augurarsi cataclismi sugli avversari. Senza inutili ironie. Terra mia. Vedere quella scena splendida, costruita in giorni di pensieri e prove; vedere quella scena orgogliosa e sorridente e potente, un Vesuvio in fiamme, è stata la migliore risposta possibile. Nella memoria rimane uno striscione che dichiarava «Giulietta una zoccola», a fronte di sanguinosi insulti della tifoseria veronese inneggiante al colera. Sono convinto che la montagna azzurra fiammeggiante di ieri sera costituisca un passo avanti, e un momento importante. Sono un tifoso disperato e appassionato, pensavo a questa partita da un anno: eppure giuro che quell’immagine splendida ha reso poco importante il risultato. C’era un grande cuore azzurro, sotto quella montagna di carta colorata. Ci sarà ancora, quando nessuno degli interpreti di ieri giocherà più al calcio. Le partite si perdono, le partite si vincono. O si pareggiano, chiudendo un campionato pieno di speranza. Terra mia. Questa, per me, è la più grande delle vittorie.

Fonte: Il Mattino

Articolo modificato 2 Mar 2013 - 10:42

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Scritto da
redazione