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Umano, troppo umano

E’ tutto così terribilmente umano da indurmi, proprio stamattina, a consegnare le mie lettere di dimissioni all’entusiasmo. Grigio nel cuore e nero negli occhi, sono affondato nell’inerzia che traccia il profilo dei sognatori quando a loro viene bruciato il dato fantastico.

Napoli è così umana stamattina, così normale nelle sue risposte e nella sua voce da rabbrividire per una lontana e inspiegata paura. Napoli muore lentamente quando ad essa viene sottratta la febbre della speranza e il delirio dell’immaginazione feconda. Lenti fantasmi balbuzienti nei bar, sguardi crocefissi più che nostro Signore al Calvario, donne prima maliziose ed ora così mal vestite e così raccapriccianti nel trucco.

Umano troppo umano è questo Napoli. Ridisegnato dalla realtà divoratrice a oggetto tra tanti, scivolato nel retrobettega dei pensieri degli altri, ormai morto sulle labbra dei profeti, tira avanti, come un bue frustato dall’abitudine. Ed allora anche le parole hanno il tedio insopportabile del già detto e già provato:” Saranno dieci finali; vogliamo arrivare più in alto possibile; non siamo in crisi.” Deprimente tutto ciò, e la tentazione di riuscire in un bel cappio così da infilarmi la testa è davvero seducente e insieme pericolosa. Niente di nuovo sotto il sole”, così Dio faceva parlare l’Ecclesiaste, così parlo io oggi, e Dio mi scusi.

Si cambi registro, si impari a utilizzare una nuova dimensione diafasica della parola, la si pulisca dalla fuliggine delle ovvietà infami. Non c’è più uno stimolo che giunga dalla comunicazione della società. Silenzio interrotto da nastri che si avviano a intervalli regolari; registrazioni che graffiano timpani abituati a ben altro. E’ la medietà che ci disgusta, ed oggi siamo così medi da desiderare il calcio nel sedere che ci spedisca all’inferno. I giocatori muti, chiusi nella loro amarezza, nei loro incubi; il presidente nella sua oscura officina, l’allenatore trincerato nel rifugio anti-atomico della sua verità costretta all’oscurità prima di Maggio. Forse soffre di rinite allergica. Dio mio che silenzio. Un tacere che ammazza anche il più demente tra gli illusi, un vuoto conversativo che isola il tifoso dalla realtà a cui guarda e che ama così intensamente.

Umano, troppo umano. Troppo umane le frasi circonstanziate e le conferenze-stampa del sabato. Invochiamo uno spunto per perderci definitivamente o per uscire di testa di nuovo, ma vi prego, non lasciateci all’umanità, non ci appartiene, è un vestito mal cucito sulle nostre forme esagerate. Che si venga in piazza, che al tifoso si parli con la sincerità dei grandi. I tifosi sono più intelligenti, molto più intelligenti di quanto i dirigenti e i calciatori credano. Che dicano la santissima verità, cosa non va, cosa sperano, per cosa combattono. Ma mi rendo conto che nel calcio non c’è traccia di democrazia. Il tifoso è il vero uomo, colui che allo stadio applaude quando sente di farlo e fischia quando lo crede opportuno. Così facendo comunica in maniera veritiera, senza filtri, senza inganni. Ma comunica un verbo che ha le radici nella sua emozione autentica, nella verità del momento, che è sempre santa e immacolata. Dall’altra parte invece ci sono i renitenti alla leva verbale genuina, sempre nascosti in un vocabolario di 14 sostantivi, 4 predicati e 2 coordinate. Non esiste la subordinazione sintattica, è tutto così ovvio da apparire troppo falso.

Umano, troppo umano. E perdonatemi il tono epico, la serietà e la piazza invocata. Ma io son di quelli che credono alle piccole cose che possono far saltare il mondo.

Carlo Lettera
Riproduzione riservata

Articolo modificato 16 Mar 2013 - 14:53

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