Saranno i ragazzini, più per necessità che per virtù, a salvare non solo il bel calcio ma pure quello meno appariscente, abbastanza normale, utilitaristico e poco sofisticato. Il campionato della grande crisi finanziaria ha, infatti, scoperto che i giovani sono il nocciolo della questione e insieme la risposta a taluni problemi. L’età media di questa stagione italiana, detta del rinnovamento, è di 25.8 anni, contro i 27.5 di appena dodici mesi fa. È una cifra importante perché inverte una tendenza che durava da oltre un decennio: il periodo in cui la serie A ha speso sempre più e si è ringiovanita sempre meno aprendo la strada alla recessione economica.
Nel 2012, di questi tempi, il Milan era la squadra più anziana d’Europa: 30 anni di età media. Oggi, dopo cessioni e dismissioni estive, i rossoneri sembrano avere ingerito dosi massicce di “Gerovital”: 26.1 anni. Così come l’ultima Nazionale di Prandelli con 25.8, quella del bel pareggio con il Brasile. Insomma, è da questi volti nuovi che bisogna ripartire. Perché il futuro del mondo del pallone va tarato su diversi parametri e facce meno note. Perché non solo le provinciali ma pure i top team si stanno levando un bel po’ d’anni di dosso. Infatti se il Pescara detiene la palma della meglio gioventù con una età media di 23.8, al Chievo va quella della più vecchia con 28.8, poi ci sono la Lazio con 28.7 e il Napoli con 28.3. Proprio il Napoli – oggi destina fondi inferiori di tre quarti rispetto ai grandi club – ha inteso che il vivaio diventerà da qui a poco un piano industriale per tutti e ha in mente di invertire ancor di più la rotta, attratto da Juve e Milan “ventiseienni”, Inter (25.9) e Roma (24.2). Un anno fa la serie A era il secondo torneo più vecchio d’Europa, peggio di noi solo Cipro. Oggi, invece, si può dire che tutte le squadre abbiano almeno un giovane di belle speranze al quale affidarsi. Molti di loro sono già titolari o stanno per diventarlo, anche perché parecchi calciatori vicini ai trent’anni, quasi sempre strapagati, se ne sono andati lasciando posti liberi.
Ben oltre la “spending review” introdotta da De Laurentiiis, antesignano per il nostro calcio, il Napoli sul fronte ragazzi si è mosso abbastanza per tempo nonostante la giovane età del club. C’è tuttavia bisogno di dare un’accelerata al progetto e i primi colpi di pedale, pur se questi si sono intuiti più che visti, ci sono stati: perché se è vero che un’estate fa De Laurentiis s’era praticamente assicurato dal Pescara un talento luminosissimo come Marco Verratti, 20 anni, poi finito al Paris Saint Germain per presunte riottosità di Mazzarri, è pur vero che oggi il Napoli non ha nemmeno bisogno di allungare più di tanto il collo per guardare in casa di altri. Già, i baby che contenderanno la Coppa Italia alla potente Juventus non solo sono per l’ottanta per cento di natali campani, ma hanno numeri e prospettive degne di vivai di ben altra portata. Così come non è passato inosservato Lorenzo Insigne non passeranno inosservati suo fratello Roberto assieme a Diamante Crispino, Daniele Celiento, tutti diciottenni, e Gennaro Tutino, addirittura 16 anni. Quest’ultimo, un prodigio della scuola napoletana, è già un talento perché si tratta del più piccolo d’età della squadra Primavera. Titolare fisso dell’Under 17 di Daniele Zoratto, Tutino ha uno score di rilievo anche in nazionale: 19 presenze, cinque gol.
Insomma al Napoli non resta che elevare la soglia dei cosiddetti “club-trained players”, come li chiama l’Uefa. Si tratta dei calciatori dai 15 ai 21 anni che abbiano giocato almeno per tre stagioni nel loro club di appartenenza: e se consideriamo che in Spagna sono il 24.7 per cento, in Italia appena il 7.4 per cento, va da sé che anche in questa graduatoria siamo agli ultimi posti. Tuttavia l’opera di restyling nel club di De Laurentiis è soltanto all’inizio. Basta dare un’occhiata al valore di mercato del campionato Primavera e accorgersi che la squadra dai colori azzurri è tredicesima con 2.125.000, sovrastata da altre formazioni. Non solo l’Inter (4.625.000), la Juve (4.575.00), la Roma (3.650.00), il Milan (3.075.000) ma pure club di fascia inferiore come Palermo, Catania, Parma. Insomma, una delle strade per uscire dalla recessione calcistica è senz’altro questa. Perché ritrovarsi meno ricchi e dover rincorrere la chimera del fair-play finanziario sono motivi dell’inversione di tendenza: la serie A è schiacciata da due miliardi e mezzo di debiti (più 14 per cento rispetto al 2011), è sotto costante minaccia delle scommesse illegali e si tiene in piedi solo grazie ai diritti televisivi (560 milioni solo da Sky). Di rimando i venti della crisi soffiano anche tra le parabole e le antenne e questo aggrapparsi ai diritti tv del nostro calcio diventa sempre più precario. Se non trova risorse nei vivai, è destinato a un progressivo tramonto. Senza Ibrahimovic, Thiago Silva e Lavezzi, il campionato avrà pure perso fascino e un po’ di peso specifico ma club come il Milan hanno raggiunto il pareggio di bilancio. Il Napoli non ha certo bisogno di interventi finanziari così estremi, gli tocca però non perdere terreno rispetto a quei club che su queste nuove strategie stanno costruendo il loro futuro. Non fosse così, la società di De Laurentiis correrebbe il rischio di non essere al passo con i suoi “competitor”.
I giovani sono una risorsa, un’occasione da cogliere bene. In molti casi appassionano di più i tifosi e costano di meno. L’abbassamento dell’età media, infatti, equivale a una sforbiciata del monte-ingaggi. Il calciatore più pagato era Ibrahimovic, con i suoi 12 milioni di euro netti all’anno: partito lui, in cima alla classifica salgono Buffon e De Rossi con sette milioni, tantissimi, ma pur sempre la metà dello svedese. E si tratta di contratti che non verranno più avvicinati da nessuno. Le loro storie sportive e gli stipendi fanno ormai parte del passato, al limite di un presente sempre più breve. In confronto, i super bomber Cavani e Balotelli guadagnano cinque milioni all’anno, benefit inclusi. Non si tratta di una miseria, è una cifra in linea coi tempi che riguardano anche il nostro calcio. Tempi poveri di denari ma forse non meno ricchi di possibilità.
Fonte: Il Mattino