All’interno di un’impostazione tattica priva del vertice Cavani, Marek Hamsik ha orchestrato la manovra del Napoli con piglio autorevole, sfuggendo alle gabbie avversarie e alla detenzione del gorgo oscuro dell’anonimato. Un’indolenza che, a volte, è stata imputata allo slovacco con eccessiva fretta, figlia di un’analisi indifferente ai fisiologici momenti di forma poco favorevoli. Contornarla come se fosse un difetto congenito potrebbe rivelarsi molto grave, poiché le fortune (tante, troppe) del gruppo di Mazzarri sono passate, e continueranno a farlo, attraverso i suoi piedi.
Un diamante però, per quanto possa presentarsi assolutamente perfetto, talvolta cela delle lievi incrinature. Nel caso di Hamsik, il deficit statistico dei tiri dagli undici metri emerge vigorosamente tra i bagliori delle sue caratteristiche. L’alternanza con il Matador può aver offuscato la precisione chirurgica dei vecchi tempi. Insomma, quella che, all’epoca della permanenza nel Brescia, gli permise di trasformare cinquantasei rigori consecutivi durante una seduta di allenamento. Una continuità spaventosa, dimostrata per il bene delle sorti della compagine partenopea in innumerevoli occasioni.
Purtroppo, da oltre un anno la musica è cambiata: dopo Inter (0-3 a San Siro) e Juventus (3-3 al San Paolo), Marek è tornato sul dischetto, ma solo per aggiungere il Torino all’elenco dei bersagli mancati. Nulla di allarmante, per carità; il potenziale offensivo del Napoli è, probabilmente, il caposaldo dell’attuale posizione in classifica. Ma sperare in un miglioramento, in una maggiore freddezza quando la palla scotta a pochi passi dalla linea della porta avversaria, è più che lecito. D’altronde, è pur sempre di un diamante che si parla, e il suo valore va mantenuto tale superando difficoltà di ogni tipo.
Giorgio Longobardi
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Articolo modificato 1 Apr 2013 - 13:36