Dicono che non debba arrivare mai il loro momento. Dicono siano persone normali, condannate a rimanere nel limbo per sempre. Tranquille, mediocri, semplici e banali. E invece arriva anche il loro momento.
Ci sono attimi che trasformano la carriera di un giocatore, e la partita di sabato sera lo ha dimostrato. Il lavoro quotidiano, il sacrificio costante e duraturo, la voglia di lottare in silenzio, senza proclami e annunci eclatanti. Poi, un giorno, arriva la partita che aspetti da una vita, e manco te ne accorgi.
Quando ho conosciuto Blerim la mia prima domanda fu “Ma quando lo fai il primo gol in serie A?”. Erano i tempi del Parma, lui giocava a centrocampo e non aveva ancora messo a segno nessuna rete in campionato. Sorrise, girò lievemente la testa, dicendo “Vediamo”. Lo presi come un segno di umiltà, come simbolo di normalità. Quella che nel calcio troppe volte manca.
Sabato sera, dopo una vita passata a rincorrere un pallone, Blerim ha varcato la soglia della normalità. Una partita, tre reti. 90 minuti, un sogno.
Credo ci sia tanto da imparare da giocatori come lui, da persone come lui. Si sa, Balotelli farà parlare per sempre di sé, Blerim no. Mai a nessuno verrà in mente di indagare la sua vita privata, ogni minimo aspetto di quello che fa e che dice, uno scoop, una notizia bomba. Mai nessun giornalista rimarrà tre giorni di fila solo per scattargli una foto strana, particolare. Lui, invece, rimarrà ancora lì, a rincorrere quella palla che è un po’ anche la sua anima, a lottare, a provarci da lontano, e, magari, a trasformarsi in campione per una notte. Sapendo che quello è il suo turno, e che il giorno dopo si torna a lavorare in silenzio e con i riflettori spenti. Viaggia così, Blerim. C’è chi non si fa accecare dai riflettori e guarda nel buio il sacrificio di chi lotta. Come te.
Raffaele Nappi
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