Fa male parlare di certe cose ed ancor di più collegarle al calcio, il gioco più bello del mondo che dovrebbe insegnare prima di tecnica, tattica e regola di gioco, valori universali come la sportività, lo spirito di sacrificio, la lealtà, la correttezza, l’aggregazione. Ultimamente più del solito infatti, faccio ancor più fatica ad abbinare questi aggettivi alle nuove generazioni, sarà perchè ormai tra poco più di tre anni varcherò la tanto paurosa soglia dei “trenta”, ma vedo un abisso tra ciò che siamo ed eravamo noi e ciò che sono i giovani di oggi, ancor più nel calcio.
Noi, nati e cresciuti a cavallo tra gli anni ottanta e novanta eravamo bambini spensierati che si accontentavano di poco. Pochi sorrisi spesso celati dietro ad un’aura costante di timore reverenziale e di forse esagerato rispetto assoluto verso tutti, ancor di più per i grandi, da considerare non solo gli “adulti” ma anche i ragazzi più grandi, dai venti anni in su. Si giocava in gruppo, si condivideva tutto, mai un litigio esasperato o un capriccio. Non eravamo viziati ma ben educati, il vanto dei nostri genitori che pur di risultare a volte “antipatici” e di dire qualche no di troppo, vedono ancora oggi il risultato di questi sacrifici.
Oggi è tutto diverso: siamo circondati da bambini che ancor prima di saper scrivere non si addormentano se non hanno giocato almeno un’ora con il proprio tablet personale, che sanno usare meglio di me il touch screen e lo smartphone e che ad ogni minima richiesta tendente poi ad accrescersi automaticamente, vengono non solo accontentati ma persino assecondati. Gli adolescenti poi, rappresentano un quadro ancora più tragico, lasciati al proprio destino in società ed a sbrigarsela come ritengono più opportuno, ossia nella maniera più impulsiva e sbagliata possibile. Vogliono tutto e subito, senza saperlo conquistare. Questa situazione si riversa ovviamente nel calcio, sport praticato della maggioranza dei ragazzi italiani di ogni età che, se non vede alla base regole ferree e ben precise, può diventare una bomba ad orologeria.
Esempio lampante ciò che è avvenuto ieri sera in un “San Paolo” ancor più bello del solito, vestito a festa per la finale di Coppa Italia Primavera che vedeva contrapporsi nuovamente Napoli e Juventus, in una sfida infinita tra stili di gioco, modi di fare e di vivere completamente diversi. Gli eroici azzurrini si sono battuti con le unghie e con i denti per provare a vincere l’ambito trofeo, conquistando il pareggio al fotofinish ed arrendendosi solo al termine del secondo tempo supplementare che ha visto spuntarla l’esperienza dell’undici bianconero allenato proprio dall’ex campione partenopeo Baroni. Alla fine, usciti sconfitti dalla propria casa, hanno applaudito con le lacrime agli occhi per una grande impresa sfumata il pubblico presente, “preso in prestito” dalla prima squadra. Tante coincidenze, tante storie che si intrecciano e poi il buio, quello portato dall’ignoranza che proviene da chi dovrebbe scrivere il nostro futuro. Prima Padovan e poi Gerbaldo hanno macchiato una serata bellissima con il proprio comportamento scorretto ed i continui gesti volgari ed insensati rivolti alla tifoseria partenopea, a cui va solo un grande plauso per aver comunque affollato in un giorno lavorativo lo stadio di Fuorigrotta. Napoli non merita questo, è l’ennesimo attacco combinato da forze bianconere votato a denigrare il club, la società e la squadra sotto l’ombra del Vesuvio.
Le scuse dei massimi dirigenti torinesi sembrano forzate e quasi superflue poichè siamo ormai da tempo abituati a questo “stile Juve”, adottato da Marotta, Marchisio e dallo stesso Conte. Ma i giovani dovrebbero essere intoccabili, bisognerebbe insegnare a loro prima che a tutti gli altri i valori dello sport e del calcio, ben lungi da quelli che si sono palesati al “San Paolo”. Facciamo tutti un mea culpa e pensiamo ad educarli davvero questi giovani, esigendo massimo rispetto per lo sport più bello del mondo che non merita di essere sporcato da chi forse non lo ha mai capito veramente e fino in fondo. Fiera di far parte di coloro che amano la gioia e non la rabbia, che sanno vincere ed ancor più perdere. Fiera di essere napoletana e di amare il Napoli. Qualche trofeo in meno, ma tante lezioni di stile e classe in più degli avversari. E scusate se è poco.
Alessia Bartiromo
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