Su “Il sogno di Futbolandia”, di Jorge Valdano
Edito da Mondadori
Abbastanza di recente, nel terzo volumetto sul calcio e le dittature, ci eravamo salutati con una citazione di Jorge Valdano, centravanti argentino amico dei giganti e del calcio fuori dalla politica, dal danaro e da molte altre cose. Lo ritroviamo anche adesso, il Valdano intimista che spiega il futbol secondo la “normativa romantica”, nel suo libro “El miedo escenico y otra hierbas”, in Italia edito da Mondadori col titolo “Il sogno di Futbolandia”.
L’ex centravanti della nazionale argentina, che è stato pure dirigente del Real Madrid, depone lo stereotipo del piglio sgraziato del calciatore e misura le faccende del pallone col metro raffinato dell’ironia, tracciando linee piccole e sottili intorno a un calcio ritrovato, forse mai perduto, o almeno recuperato da un latente stato di abbandono in cui probabilmente era caduto il suo pallone, finito per un po’ di tempo dentro il turbine frenetico delle vicende quotidiane, che, loro malgrado, rifiutano spesso il soccer saggio e meditabondo di una pratica fine a se stessa, ma proprio per questo inimitabile e irripetibile.
Nel suo libro, Valdano apre la porta a una lunga serie di metafore e di allegorie, tutte pronte a definire e a perdonare i figuri che di pagina in pagina corrono come sul terreno di gioco, dribblando retoriche e luoghi comuni come fossero birilli. La vena poetica delle parole di Valdano ignora ogni cosa non appartenga al calcio inteso come nostalgica ma ancora viva conversazione, una cosa tra amici, tra compagni di avventure, e pure di sventure.
Amicizia, politica, desiderio e rimpianto, accompagnano il raffinato verbale del Valdano reduce dal pallone dove ha conosciuto un po’ tutti. Il Diego Armando Maradona amico (memorabile l’aneddoto di Diego che, nel 1986, dopo un allenamento, dimostra a Valdano cosa significa amare veramente il calcio), il Cruijff regale e irriverente, il Beckam diseguale, in campo uomo dedito alla regola e alla disciplina, fuori l’esatto contrario, un contrario, secondo Valdano, espresso spesso pure in maniera maldestra. Per non parlare di Zidane, che l’autore definisce “un elefante col cervello di una ballerina”, in quella kermesse di personaggi come Romario, Bergkamp e Arrigo Sacchi, giù fino alla severa e veritiera critica sull’interpretazione italianista del pallone. A tal proposito, Valdano scrive: “Ci sono momenti nei quali un difensore azzurro sta per spazzare la palla e si trova davanti un difensore, magari norvegese, con le gambe aperte. Un meraviglioso invito al tunnel che un uomo libero non potrebbe mai rifiutare. Il giocatore italiano tende a ignorare e a spazzare via lo stesso”.
Il racconto di Jorge è “disturbato” dalla sincerità, che gli serve a rivelare una “buona novella” privata, a difesa di quel calcio raffinato nella macchina della perfezione industriale, e che invece proviene da entusiasmi perduti, che l’amarcord valdaniano rievoca uno per volta, sparsi in un ordine non del tutto compreso, per rispetto a quel principio un po’ anarchico espresso dallo stesso Valdano intorno al destino di certi sistemi di interpretazione che ingabbiano il football dentro i formulari minacciosi di certi allenatori, presso i quali un calciatore può manifestare ritrosia pure col più semplice e discreto degli atteggiamenti, talvolta incompreso, oppure sfrontato e irriguardoso, forse per la ragione semplice e incontrovertibile che un uomo non vuole attentati alla sua libertà perché attraverso il suo sfogo si libera dei demoni che si porta dentro.
Ed è anche su questo che si posa la farfalla Valdano, da Vasquez Montalban addirittura definito “il Croce del calcio”, sul rischio di “quel fondo di fascismo che si annida dietro la filosofia del risultato”. Che vi sia pure il bisbiglio di un allarme, contro violazioni del resto già da sempre registrate, contro una cosa troppo grande, il calcio, che funziona azionata da meccanismi adatti a tenere buoni anche i bambini.
La prefazione, firmata Gianni Mura, che ha detto di Valdano come di uno che nel calcio ha fatto tutto tranne “l’arbitro e il pallone”, dà del sogno al senso dell’insegnamento, quasi come fosse un insulto, e passi la provocazione, perché spesso, troppo spesso, l’insegnamento reale di questo sport avversa le prescrizioni irreggimentate del futbol burocratico, che uno come Valdano ha sempre rifiutato, non per questo senza l’ossequio dovuto a quella cosa nobile e delicata che è la disciplina.
In precedenza era stato citato l’episodio del 1986 tra Maradona e Valdano, raccontato nel libro dallo stesso autore. Mondiali del Messico. Alla fine di un allenamento, un gruppo di giornalisti aspetta i calciatori dell’Argentina. Maradona dice a Valdano che molti di quelli non amano il calcio, e che glielo dimostrerà lanciando loro il pallone che gli verrà restituito con le mani, e non con i piedi. Così accade. Un giornalista restituisce a Diego il pallone, solo dopo averlo afferrato con le mani. Allora Jorge obietta il teorema di Diego, facendogli notare che forse la palla non gli è stata restituita coi piedi perché metterebbe soggezione farlo davanti a Maradona.
Mardona, a sua volta, risponde a Valdano: “Se mi trovo a una festa, a casa del Presidente della Repubblica, con lo smoking, e mi lanciano un pallone sporco di fango, lo stoppo di petto e lo restituisco come Dio comanda”. Ci perdonino i maestri, ma ecco, questa è l’essenza della disciplina.
Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka