“Una vita da mediano a recuperar palloni nato senza i piedi buoni lavorare sui polmoni…Con dei compiti precisi a coprire certe zone a giocare generosi…Da chi segna sempre poco che il pallone devi darlo a chi finalizza il gioco”.
Ruolo ingrato quello del mediano, poiché a lui compete “il lavoro sporco“, proprio come narrano i versi della celeberrima canzone di Ligabue che ben ne descrivono la figura ricoperta in campo, nonché le mansioni che è chiamato ad espletare.
Pochi meriti, tanto sacrificio, raro o improbabile che si ricopra della gloria che scaturisce dal gol, più possibile che si imbatta nella penalità del cartellino. Calciatore che non si contraddistingue per la pregevolezza dei suoi piedi, ma piuttosto per la generosità e la caparbietà di muscoli e polmoni, che gli consentono di macinare chilometri, in ogni partita, per recuperare palloni da consegnare repentinamente ai “piedi sopraffini” della squadra, mentre la combattività che ne imbastisce l’anima assicura la veemenza e la forza necessaria per lottare su ogni singolo pallone, fino al triplice fischio finale.
Silenzioso ed abile sarto che cuce gli spazi, generoso lavoratore al servizio della squadra, il Napoli targato De Laurentiis annovera nei suoi annali, molteplici, valorosi gladiatori che egregiamente hanno fornito lustro e tributo a tale ruolo, nonché al gioco della squadra azzurra.
In primis, Francesco Montervino, capitano tutto grinta e cuore, capace di traghettare con il suo carico di esperienza e veemenza combattiva la squadra dagli inferi della C al purgatorio della serie cadetta. Anche quando la fascia di capitano passò tra le mani di Cannavaro, non ha mai negato il suo tributo da trascinatore della squadra e di impavido uomo spogliatoio.
Quando, poi, il Napoli è approdato nella massima serie, per disputare il campionato che maggiormente competeva al suo blasone ed anche più conforme ai progetti e alle ambizioni della nuova società, è toccato a Manuele Blasi scendere in campo indossando l’armatura del guerriero.
Impavido armigero, pedina fondamentale del centrocampo imbastito da Reja, grazie al suo immane lavoro e al contributo che in termini di copertura e stregua e caparbia combattività forniva alla squadra, fu subito erto a beniamino delle curve, seppure quella incontenibile foga agonistica, sovente, lo induceva ad imbattersi nel cartellino giallo. Purtroppo, “fa parte del gioco” ed è uno degli handicap per eccellenza contro i quali è chiamato a misurarsi un mediano con la “M”.
Con l’arrivo a Napoli di Michele Pazienza, il gioco per Blasi si fece più duro, poiché era tenuto a battagliare anche per contendersi una maglia da titolare con quest’ultimo.
Fisicamente non dotato come Blasi, ma piuttosto un “Calimero“, piccolo e nero, che in campo, però, sapeva farsi valere, armigero silenzioso e poco appariscente, capace di emergere grazie al lavoro oscuro, ma fondamentale che sapeva sviscerare in campo, Pazienza, grazie all’iniezione di fiducia e carisma infertagli da Mazzarri, ha conosciuto il momento maggiormente glorioso ed edificante della sua carriera, del quale, a trarne i cospicui benefici fu il Napoli, in pimis.
La risultante finale del mix di caratteristiche di Blasi e Pazienza si chiama Walter Gargano: basso come il foggiano, ma di corporatura più robusta rispetto a quest’ultimo, l’uruguaiano, agli albori della sua avventura partenopea, era considerato un fenomeno, al pari degli altri due “ragazzini” entrati a far parte della rosa del Napoli, durante il primo Campionato di Serie A, Hamsik e Lavezzi e, in effetti, i suoi polmoni d’acciaio, unitamente a quella impressionante ed instancabile voglia di rincorrere ogni singolo pallone, lasciavano intravedere un potenziale che, in chiave futura, era destinato ad esplodere e perfezionarsi.
Tuttavia, un tedioso ed infimo infortunio, quale può rivelarsi essere la frattura del metatarso, abile ad ostruire propriocezione e cinetica del passo, ha, indubbiamente, concorso a svilirne la crescita, complice la chiave tattica di Mazzarri, nella quale Gargano poco e male riusciva ad adattarsi.
Ragion per cui gli occhi degli addetti ai lavori di casa Napoli si sono posati altrove.
Oggi quell’ “altrove” si chiama Valon Behrami, lo svizzero di origine kosovara, dalla cresta ossigenata, rappresenta la massima e sopraffina espressione del “mediano di Ligabue”.
Behrami omaggia in maniera edificante ed encomiabile quel ruolo fondamentale per il buon esito del “calcio alla Mazzarri”
Entrato brillantemente nel ruolo, fin da subito, ha sfornato prestazioni encomiabili, dando il suo contributo in fase di interdizione, ergendosi a tassello inamovibile del centrocampo di Mazzarri, nonché pedina fondamentale in termini di garanzia e sicurezza.
Primo punto di riferimento della difesa, ma soprattutto schermo protettivo in grado di riconquistare palla e andare in raddoppio ogni qualvolta viene richiesto, così come, altresì si rivela caparbio a spezzare la trama di gioco avversaria per dare il la a quello della sua squadra.
L’apporto dello svizzero ha conferito alla difesa azzurra maggiore protezione e tranquillità, ma soprattutto ha consentito di trovare quell’equilibrio fondamentale per continuare la marcia e lottare in difesa del secondo posto.
Uno che segna poco, anzi, fin qui, la sua prima rete in azzurro tarda ad arrivare, ma considerando il fragoroso e scrosciante tributo a base di standing ovation ed attestati di stima che i tifosi costantemente ed instancabilmente gli indirizzano, è lecito asserire che il gol più importante, Valon l’ha siglato nel cuore dei napoletani.
Luciana Esposito
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