Quella che si disputerà sabato al Collana sarà una partita “diversa” per Roberta Filippozzi, nata in provincia di Verona, ma “difensore” del Napoli, dentro e fuori dal campo, nel senso più proprio e vero del termine.
Napoli Carpisa Yamamay – Bardolino Verona, incarna un’antica e cruenta sfida: Napoli e Verona, due città profondamente distanti, non solo geograficamente, disgiunte da un imperioso e massiccio muro di razzismo ed odio, al quale lo sport concorre a conferire mattoni.
Fin dalle prime battute, Roberta mi ha disarmata, per la tenacia mista a buon senso insiti nei concetti che esterna:
“All’andata sono stata sfortunata, perché per infortunio saltai la trasferta di Verona e ho sofferto, perché ci tenevo tanto a scendere in campo contro di loro. Oltre al danno, ho subito anche la beffa perché il Napoli ha perso. Per me è una partita non solo calcistica, ma personale, dato che ho un conto aperto con la società del Bardolino Verona e ci tengo che si sappia pubblicamente. Mi spiego, in virtù del vincolo che ti obbliga a rimanere legata alla società in possesso del tuo cartellino fino al compimento dei 25 anni, il Bardolino Verona per svincolarmi, quando ho manifestato la mia volontà di andare a giocare altrove, mi chiese 20-25.000 euro e ho dovuto portare avanti un’aspra e lunga battaglia per poter andare via. Il Bardolino è una società che ostacolando l’abbattimento del vincolo, pratica una politica deleteria per il calcio femminile. Infatti, non è capitato solo a me, ma anche ad altre loro tesserate che sono rimaste mie amiche e che hanno vissuto la mia stessa sventura. Quando l’ho raccontato qui a Napoli, faticavano a a credermi perché qui regna tutt’altra cultura, possiedono l’elasticità mentale necessaria per lasciare libere le ragazze che palesano la volontà di fare un’esperienza in altri club a fine stagione, senza chiedere soldi per svincolarle. Il calcio femminile è una passione, reprimere noi ragazze e non lasciarci libere di giocare è sbagliato. Ecco perché per me quella di sabato sarà la partita della vita. L’adrenalina che ho in corpo da una settimana è inspiegabile, aspetto da troppo tempo questa gara.”
L’anima di Roberta brucia, fomentata da un indomabile desiderio di rivalsa contro quel club che ha provato a tapparle le ali e, adesso, cerca il suo riscatto indossando la maglia del Napoli e questo conferisce infinita dignità alla sua indole di donna tenace, strenua e combattiva. Inutile porle delle domande, Roberta è un fiume in piena di emozioni contrastanti che necessitano di straripare.
“In italia, le società fanno il bello e il cattivo tempo, – continua a raccontare – cercano in tutti i modi di bloccare la nostra crescita. Anche noi viviamo il calcio come un vero e proprio lavoro, al pari dei maschi, se si considerano allenamenti e partite, ma veniamo considerate delle dilettanti. La riprova l’ho avuta l’estate scorsa, partecipando ai Mondiali in Giappone, sembrava che alla Federazione italiana avessimo fatto un dispetto! Hanno unito le nazionali Under 19 e 20 per risparmiare! Le ragazze della Nazionale nigeriana, quindi non parliamo di un paese economicamente assai sviluppato, rimanevano basite quando raccontavamo loro i servizi che sono a supporto del nostro lavoro e in che modo quest’ultimo viene impostato. In Italia è la considerazione della donna in relazione al calcio che è sbagliata e l’evoluzione così come l’interesse vengono ostacolati piuttosto che agevolati. Quando ero piccola e giocavo a calcio con i maschi e gli facevo gol, loro ci rimanevano male due volte: perché avevano subito gol e per giunta da una donna e per questo si sentivano umiliati. Allora ho imparato che sul campo si conquistano le rivincite e le vittorie vere, è il campo che ti ripaga di tutto: dei sacrifici, degli allenamenti, del fatto che vivi lontana da casa. Quelle che vivi in campo, sono emozioni che ti porti dentro per tutta la vita. Se giocassimo per soldi, avremmo smesso tutte a 14 anni. La gente dovrebbe capire ed apprezzare la nostra passione, in realtà, riescono anche a capirlo, perché concepiscono che non siamo milionarie, anzi, a conti fatti, forse, è un investimento a perdere, ma non riescono ad apprezzarlo.”
Come ti senti quando dagli spalti del Collana si innalzano cori anti-Verona e viceversa, quando ciò accade a Verona contro Napoli?
“Lo dico sempre anche alle mie compagne di squadra, verso quella frangia di napoletani nutro solo indifferenza. Non classifico Napoli in quella minuta fetta che partorisce cori razzisti. Ho conosciuto questa città e so qual è la Napoli che mi piace: quella fatta di calore ed accoglienza. A Verona, gli ultras non si interessano del calcio femminile, ma anche lì gli stupidi fanno a gara tra loro per mettersi in evidenza in tal senso. Tra Verona e Napoli esiste un odio diverso e maggiore rispetto a quello che vige tra Nord e Sud, anche se non ne comprendo la ragione. Quando nomino Verona qui a Napoli, chi l’ha visitata, riconosce che è una bella città e ne parla bene e lo stesso accade a Verona quando nomino Napoli, chi è stato qui elogia la città e sa che i pregiudizi legati al nome di questa città sono illegittimi ed infondati. Per capire le cose bisogna viverle, vederle con i propri occhi e giudicarle con la propria testa. La tifoseria dell’ Hellas Verona è la più vergognosa d’Italia e spero che la loro squadra resti in B il più a lungo possibile. Io tifo per il Chievo, la vostra bestia nera! Scherzi a parte, è una tifoseria più civile e tranquilla, nella quale mi rispecchio maggiormente. Credo che lo striscione che ha dato vita alla guerra infinita tra queste due tifoserie “Vesuvio lavali col fuoco” sia una delle frasi più brutte e vergognose che ha contraddistinto in negativo la storia di questo sport. Alla fine voi, additando Giulietta con quell’aggettivo colorito che tutti ormai conosciamo, siete stati anche simpatici! In ogni caso, sono di Verona e sono orgogliosa della scelta che ho fatto: vestire la maglia del Napoli.”
Nonostante tutto, sei nata e cresciuta, umanamente e calcisticamente a Verona. Racconta la tua città ai napoletani:
“Gioco a calcio da quando avevo 6 anni, ho iniziato a Bussolengo, la cittadina veronese nella quale sono nata e cresciuta. Sono sempre stata una studentessa diligente, poiché il patto con i miei genitori era che finché andavo bene a scuola potevo giocare a pallone, quindi non avevo alternative per coltivare la mia passione. Fino all’età di 12 anni ho giocato con i maschi, poi sono stata integrata nella squadra femminile del Bardolino Verona dove ho giocato fino a 17 anni, poi ho giocato per un anno a Roma, prima di approdare qui.
Quando nomino Verona, mi sento dire sempre le solite frasi: “Giulietta e Romeo“, “Avete solo freddo e nebbia“, in realtà, Verona non è solo questo. C’è il Lago di Garda che è bellissimo, ma il pregiudizio impedisce ai napoletani di ammetterlo, così come non è vero che i veronesi sono tutte persone austere e distaccate, sono quelle solite frasi che si dicono sui polentoni. Noi abbiamo pregiudizi su di voi, così come voi li avete su di noi e non si sa come fare per cancellarli, da ambo le parti. Purtroppo, Verona non l’ho mai vissuta come avrei voluto, perché tra partite, allenamenti, impegni con la nazionale e lo studio, non ho mai avuto molto tempo libero, poi a 18 anni sono andata via. Infatti, in auto mi muovo con maggiore familiarità e dimestichezza qui a Napoli, ormai conosco le strade, mentre invece quando sono a Verona sono costretta a farmi guidare dal navigatore! D’estate anche lì fa caldo e si può andare al lago a prendere il sole, penso che sia una rarità trovare un città che dista 10 minuti dal lago e un’ora dalla montagna. E’ una bella città.”
Come ti trovi a Napoli?
“Mi trovo bene, in tutti i sensi e sotto ogni aspetto. In primis, di questa città amo il clima, qui praticamente fa sempre caldo, anche d’inverno, i vostri 5 gradi, rispetto ai -5 di Verona, fanno si che qui mi senta come se fosse sempre primavera. Poi, amo la gente, la disponibilità e la cordialità dei napoletani è difficile riscontrarla altrove, l’accoglienza che riservano agli “stranieri” è eccezionale, così come la loro capacità di rendersi disponibili sempre e per qualsiasi evenienza. Fin da subito mi sono trovata bene qui, anche se ho un carattere chiuso e necessito di tempo per ambientarmi. Non immaginavo di integrarmi così bene e in maniera tanto rapida. Dopo una settimana mi sentivo come se fossi qui da 2-3 mesi. Il modo di approcciarsi dei napoletani coinvolge. Poi, ovviamente, è necessario possedere lo spirito d’adattamento e l’elasticità mentale necessarie per adeguarsi ad un modo di vivere e pensare diverso dal tuo. Né migliore né peggiore, solo diverso.
Quando a Verona comunicavo la mia scelta di venire a giocare a Napoli, mi sentivo dire: “Ma dove vai? Sei matta!” E poi iniziava quel solito elenco di luoghi comuni: “Ti sparano!” “C’è la spazzatura!” Di tutte le leggende metropolitane che si tramandano sul conto di questa città, invece, non ne ho riscontrata nemmeno una, ma quando lo dico su, la gente non mi crede. Da lunedì scorso, ho iniziato ad andare in spiaggia, amo trascorrere interminabili ore al sole, il mare è bellissimo, anche se ho una carnagione chiara, riesco a prendere un bel colorito d’estate e quindi a fine aprile sarò già abbronzata e quando andrò su, i polentoni invidieranno la mia tintarella! Quando avrò la disponibilità economica necessaria per farlo, sicuramente comprerò una casa qui a Napoli. Però, se devo elencare una pecca di questa città, la rilevo senz’altro nei mezzi di trasporto, ragion per cui sono stata obbligata a portarmi l’auto. Ho casa ad Agnano e quando ero infortunata andavo a fare le terapie a Bagnoli, quindi parliamo di una distanza effimera, eppure ho trascorso anche 4-5 ore aspettando un autobus! Trovo assurdo che non si conoscano gli orari degli autobus e se chiedi a qualche dipendente informazioni in merito, ti rispondono che non sanno darti un orario: “Quando arriva, riparte!” ti dicono! E’ pur vero che la puntualità non è il forte di voi napoletani, anche quando date gli appuntamenti siete molto vaghi, avete una concezione del tempo tutta vostra.”
Cosa significa per te vestire la maglia del Napoli?
“Ve lo racconto con un aneddoto: in occasione della partita di andata contro l’altra squadra femminile di Verona, il Mozzecane, mentre facevamo ingresso in campo, un loro dirigente mi disse: “Come fai a giocare con questo casino?” Quando abbiamo giocato di nuovo contro di loro, nel girone di ritorno, negli spogliatoi gli ho fatto trovare una maglia del Napoli, sulla quale sopra avevo scritto: “POLENTONE IGNORANTE, TU LO CHIAMI CASINO, IO LO TROVO DIVINO!” Non aggiungo altro.
Non posso accettare che un veronese come me mi attacchi per la mia scelta di venire a giocare qui. E’ esagerato definirla la “mia” squadra, non potrò rimanere a giocare qui in eterno, ma sono molto legata alla città, quando viene attaccata sulla base di stolti pregiudizi, mi offendo e mi infastidisco. Poi, le abbiamo battute 5-1, quindi la rivalsa più grande è stata proprio quella, una doppia vittoria. Anche se so che dopo quel gesto, non potrò mai più giocare in una squadra veronese! Nel calcio femminile un giorno esisti, il giorno dopo non ci sei più, purtroppo è così. Il motivo principale per cui ho scelto Napoli è rappresentato dal progetto che la società si ripropone di perseguire e la voglia di fare che contraddistingue questo club, mi ha motivata ed impressionata a tal punto da indurmi a retrocedere dalla serie A alla serie A2. Nel calcio femminile è difficile riscontrare società serie e motivate, si vive alla giornata piuttosto, anche perché non tutte le squadre dispongono dei capitali utili per sovvenzionare progetti ambiziosi, ragion per cui mi sono lasciata convincere e ho deciso di fare un passo indietro e si è rivelata la scelta più bella e giusta che potessi fare, non solo calcistica, ma anche di vita. “
Roberta ha appena 21 anni, ma palesa l’acume e la lungimiranza di una rodata donna di mondo, estrinsecando quella saggezza che compete a chi di acqua sotto i ponti ne ha vista passare tanta, troppa e nel suo caso quell’acqua è pregna di obsoleti luoghi comuni ed effimeri e stolti pregiudizi, conditi di “Napoli colera” e “Vesuvio pensaci tu“, ma anche di “Verona m_ _ _ _ “, “Avete solo la nebbia”.
Riduttivo e qualunquistico circoscrivere la storia, l’ideologia e la cultura di un popolo e di una città all’Arena e Romeo e Giulietta, esattamente come lo è etichettare i napoletani come un popolo di cantori e “musicanti” di mandolino, affamati solo di pizza.
Roberta, almeno, ha saputo andare oltre, superando l’infimo scoglio del pregiudizio con la medesima naturalezza con la quale, palla al piede, elude l’attacco delle avversarie, tenendole ben alla larga dalla porta azzurra.
Valore aggiunto inestimabile, in campo, per quanto pregevole è l’apporto che sta fornendo durante la stagione da incorniciare del Napoli Carpisa Yamamay dei record, cittadina onoraria, figlia adottiva di quella Napoli che solo la parte sana e genuina di questa terra è in grado di stimare ed apprezzare, ma soprattutto testimonial non retribuita dello specchio più vero ed essenziale del “Paese d’o sole”.
Chi è Roberta Filippozzi fuori dal campo?
“Sono iscritta al primo anno di università, frequento la facoltà di Scienze motorie qui a Napoli. Sono una ragazza indipendente, vivo da sola e il fatto che, in un momento storico come questo, riesco a mantenermi gli studi da sola mi inorgoglisce, ma se sono qui è anche grazie all’appoggio della mia famiglia che, a dispetto dei pregiudizi, ha sempre appoggiato e sostenuto la mia scelta. Delle calciatrici del Nord, sono la più napoletana di tutte, tant’è vero che le mie compagne di squadra mi hanno soprannominata “la terrona di Verona”! Inoltre, diverse persone quando torno a Verona trovano che abbia preso l’accento napoletano, ma qui a Napoli, ovviamente, quando mi sentono parlare, capiscono subito che sono “straniera“.”
Cosa vuoi dire agli appassionati di calcio che ancora non vi seguono?
“Essendo una partita tra Napoli e Verona, sabato mi aspetto di vedere molta più gente al Collana rispetto alle altre partite. Ad incitarmi sugli spalti, sabato ci sarà perfino una spettatrice speciale: mia madre che è arrivata a Napoli mercoledì e ripartirà lunedì e sono molto felice per questo, perché, da quando sono a qui è la prima volta che si trattiene per svariati giorni, così potrò portarla in giro per la città, al mare soprattutto. Credo che il calcio femminile sia uno sport del quale ti innamori al primo impatto, se si è in grado di apprezzare passione, sacrificio e impegno. Il nostro calcio è avulso da quelle brutture che avvelenano il calcio maschile, nel quale ormai è tutto costruito e pilotato, noi incarniamo l’aspetto genuino di questo sport, “il vecchio calcio” e l’ideologia di un tifoso deve basarsi su questi stessi nostri principi e percepire questo sport alla stessa maniera per apprezzare il calcio femminile.”
Alla luce di quanto letto fin qui, mi chiedo: come si fa a negare il proprio sentito e fragoroso applauso ad un’eroina del calcio moderno che, a dispetto delle sue origini, domani scenderà in campo per onorare e “difendere” la maglia azzurra?
Luciana Esposito
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