Scrivo a distanza di cinque ore dalla fine della partita Napoli-Cagliari e ancora non mi riprendo.Perché sono stanca come se avessi giocato io, ho mal di schiena, sono completamente senza voce, ho tanto sonno dovuto alla tensione che accumulata per più di 90 minuti adesso si trasforma in sbadigli. Non mi riprendo e non mi aiuta il posticipo noioso, troppa tattica e poco istinto e cuore. E per me che vengo da 90 minuti in cui il cuore è stato il grande protagonista, questo Juve-Milan è insostenibile. Il cuore, dicevo. In campo, quello dei nostri azzurri, lo scugnizzo di Fratta in primis che paziente ha aspettato la palla giusta ed è riuscito a segnare nel modo in cui si è fatto conoscere a Pescara. Sugli spalti, invece, quello di tutti noi. Cuori che hanno sostenuto, spinto fino alla fine, gioito tre volte, bestemmiato due, ma soprattutto cuori che hanno rischiato l’infarto. Qualcuno ci ha fatto pensare di averlo avuto per davvero.
E pensare che la domenica era cominciata sottotono. Qualcuno arriva quasi scocciato, qualcun altro ancora assonnato per la baldoria del sabato sera, qualcun altro già concentrato, seduto una fila più si da solo che mangia già il suo panino. Fino ad un’ora prima della partita, l’unico sussulto vero che io ricordi è stato l’ingresso allo stadio dietro ad una ragazza con un mega tortano e con lo steward che commenta con me preoccupato: “Ma può entrare il casatiello?”. Io gli rispondo con l’ironia spicciola di chi negli anni s’è vista palpare come una terrorista con le bombe nella cintura: “In effetti, può essere un corpo contundente. Se cogli qualcuno, gli fai male!”. Ma quando lo steward mi ribatte veramente preoccupato: “Ma infatti!Io non so se può entrare!”, capisco che fa sul serio. A quel punto cerco di rassicurarlo e la mia risposta è d’obbligo: “Se si porta il casatiello allo stadio per lanciarlo in campo e non mangiarlo, le dobbiamo dare il DASPO per forza!”. Sarebbe stato divertente assistere al sequestro del tortano, ma per fortuna lo steward è rinsavito e la ragazza ha potuto elargire fette di casatiello a tutta la curva. Per la gioia della curva.
Entriamo alle 12:45. 12 e 45. Mica all’una, all’una e mezza? Alle 12:45. E i nostri posti soliti sono già presi da ragazzini alle prime armi e da una coppia sfuggita alle foto sul lungomare con le vele dell’America’s Cup. Forse sbagliando fermata della metro. In tutti i casi, ci accaparriamo tutti gli altri posti intorno. Il mister ha chiesto il nostro sostegno e noi non possiamo deluderlo. Come se ci fosse bisogno di chiederlo! Ma dobbiamo stare tutti vicini e compatti. Dovessimo esultare smodatamente e rischiare l’infarto, vogliamo farlo tra le braccia di amici.
Piano piano arrivano tutti, si sistemano, passano di mano in mano noccioline, panini e patatine. Nonostante ci sia qualcuno che delira autoproclamandosi a dieta. Salvo poi farsi beccare in castagna con un chilo di pane, un chilo di mortadella e un chilo di mozzarella tra le mani. Ma in realtà nessuno ci aveva creduto veramente. A cinque minuti dall’inizio salutiamo anche i due amici lavoratori, arrivati giusto in tempo per l’ingresso delle squadre in campo. Uno dei due, a vedere la maglia da portiere che indossa di un arancio bello intenso, è pronto ad entrare in campo al posto di SguardoIntelligenteRosati, semmai volesse tirarsi indietro all’ultimo minuto. O, male che vada, unirsi agli steward e sequestrare casatielli innocenti.
E qui mi fermo. Non ricordo più nulla. La partita la ricordo, certo. Abbiamo giocato noi e hanno segnato loro. E il primo tempo è finito così. Poi inizia il secondo tempo con il nostro pareggio nei primi minuti. Ma noi l’abbiamo saputo quasi a fine partita. Minuti interminabili per decidere un si o un no su un presunto fuorigioco di Cavani. Poi ricordo solo Behrami che alza le braccia e corre felice verso il centrocampo e gente intorno a me che grida “GOOOAAAL” ogni 10 secondi, in un clima surreale. Poi ricordo, certo, il nostro secondo goal. Cavani. Uno dei peggiori in campo, forse. Ma che riesce sempre a strappare l’applauso e la gioia ad ognuno di noi. Ma ricordo bene anche Sau e il suo tiro in porta che ci ha gelato tutti. Tutti tranne uno. Convinto di vincerla all’ultimo minuto. Come ai vecchi tempi. Come sempre succede con il Cagliari di Cellino. Proprio nel pre-partita avevamo ricordato il volo del Pocho nei 4 mori con quel contropiede da manuale all’ultimo secondo. Ma anche il 3-3, in cui sempre il Pocho era stato protagonista, ma in altro modo. Insomma, ricordo che qualcuno l’aveva detto. E così è stato. E allora ricordo che Lorenzo ci prova, per l’ennesima volta in questo campionato e ci riesce. La butta dentro. Sento il boato. Urlo. E poi il nulla. Dopo qualche minuto, c’è ancora gente che cerca di districarsi dall’ammucchiata avvenuta. Che si cerca per abbracciarsi. Che cerca il padre per sincerarsi delle condizioni di salute. L’ha visto seduto, bianco, che cercava aria e che si guardava intono attonito. Per poi godersi lo spettacolo che aveva intorno.
Ricordo che siamo rimasti sugli spalti fino a quando gli steward non ci hanno cacciato. La voglia di non andarsene più, di addormentarsi lì, di portarsi un pezzo di casa a casa. E nel frattempo, i racconti di visioni mistiche avute subito dopo il goal. Chi ha visto lo stargate aprirsi davanti ai suoi occhi, chi ha visto pianeti nuovi e c’è anche vita! Chi si è ritrovato in un buco nero, chi ha perso un ginocchio perché sopraffatta da chili di gioia smodata. Insomma, una partita che ha avuto il cuore come protagonista assoluto.
Tornando a casa, apprendo del tweet del Presidente che dedica la vittoria a Cellino, Astori e Naingolan. E penso che è un tweet superfluo, da decifrare e senza cuore. Ma per fortuna, tra campo e spalti ne abbiamo anche per lui ed è tutta un’altra storia.