Ho letto su alcuni giornali, se è vero, che l’attuale sindaco di Napoli, De Magistris, pare abbia chiesto personalmente al “nuovo vecchio” presidente di intervenire per la Napoli in emergenza. Personalmente, poco m’interessano le direzioni e le appartenenze di partito. Qui, ancora di meno, dove tra le righe consegnate all’opinione pubblica sarebbe azione avventata e maldestra tifare per una parte a discapito di un’altra. E ne valesse la pena, il rischio della fazione lo si correrebbe volentieri.
Il sindaco della città partenopea, nel suo appello, ha denunciato lo stato di sofferenza di una Napoli caduta ormai da tempo in un’emergenza sociale alla cui urgenza non si può più chiedere di aspettare.
Adesso non sappiamo, o forse lo sappiamo, perché De Magistris abbia chiesto a Napolitano di farsi carico, almeno in via “spirituale”, della “Città che sta esplodendo”. Perché l’anziano inquilino del Quirinale è napoletano, e allora meglio di chi non lo è dovrebbe sentire il peso insostenibile della vergogna criminale, in un luogo dove i servizi pubblici funzionano male, dove ormai non resta che l’album dei ricordi, dove un’intera cittadinanza, accorpata a un indotto che a Napoli non ci abita ma ci vive, si muove con indifferenza ma anche con molta sofferenza, e dove la musica preferita è il brontolio della delusione e l’intimo imbarazzo di fronte alla perdita della reazione.
È una Napoli dell’insufficienza, caduta in basso, inutile negarselo, metropoli maestra di inerzia, dove non è tutto sbagliato il grido d’aiuto, un po’ di comodo e “scansafatiche”, lanciato dal sindaco a suo tempo eletto a furor di popolo. A Napoli ogni presunto rinnovamento e ogni formula della speranza, distribuiscono i volantini di un proclama laddove il tempo provvede a disperdere presto ogni buona intenzione. È chiaro, a onor del vero e dell’imparzialità, non dipende da uno solo, né da dieci, né da mille, ma, affondiamo pure la mano nella retorica, un po’ da tutti.
La storia di Napoli è di tante, troppe navigazioni in mari burrascosi per poterla pensare improvvisamente arenata presso spiagge desolate. È una nave che cerca la tempesta. Fu costruita dentro un porto con gli attrezzi della modernità e prese il largo per le rotte peggiori.
La sua ciurma, i suoi ufficiali, il suo comando, vivono felici così? Non lo so. Non si attribuisce la felicità. Una cosa si sa, ed è vecchia abbastanza per non essere vera. Napoli, in fondo, è città monarchica. Monarchica non per ragioni di forma o di governo. Lo è perché ha bisogno di regnanti. Guai a strapparle il re. Succede che lo scippo procura danni irreparabili. Pure su questo, al di là di ogni ragionevole dubbio, la storia qualcosa insegna. E, credetemi, non c’è nessun onore a ridursi in presidio monarchico, pure in tempo di democrazia. E questo, “Re Giorgio”, lo sa. Honorè de Balzac ha scritto “I troni non si riparano”.
Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka
Articolo modificato 23 Apr 2013 - 17:45