Ognuno di noi nasce con un percorso delineato in maniera marcata ed inequivocabile in quel destino che segna l’esistenza, condizionandola e conferendole un senso, un valore, uno scopo.
Artisti si nasce, non ci si improvvisa.
Poiché, per conferire un tributo degno del prestigio di cui la parola “arte” è intrisa è necessario che i ciottoli delle strade che delineano quel percorso siano cesellate da una serie di minuziosi, polimorfi e distintivi tasselli: una sopraffina predisposizione genetica, un’acuta carica emotiva, una sensibilità intemperante e una miriade di infinite sfumature, ben incarnate dalla parola “talento“.
Spesso ce ne dimentichiamo, ma l’intramontabile pregio per eccellenza di questa città è proprio la capacità di “vomitare” arte, avvalendosi di quelli che tra i suoi figli vantano un corredo cromosomico finemente ricamato con il lussurioso filo del “talento“.
Ieri sera, in Via Mezzocannone 14, presso l’Auditorium occupato Carla e Valerio Verbano, nel cuore di Napoli, l’arte e il talento hanno trovato una duplice espressione, seppur differente nella loro similarità.
Nel pomeriggio ha avuto luogo la presentazione del fumetto “Diego Armando Maradona“, creatura partorita dalla geniale e virtuosa maestria di Paolo Castaldi, ma calato il sole, nel cuore della notte, insieme alla voce calda e spregiudicata di Valerio Jovine, grazie a loro, Napoli ha vissuto intensi, scarni e pretti momenti di arte allo stato puro.
Jovine irrompe sul palco, famelico di musica, con lo stesso impeto con il quale un leone si destreggia nelle praterie della savana, alla ricerca di una preda da sbranare.
Coinvolgente, accattivante, liberatoria, la sua musica è un tripudio di suoni, emozioni, spensieratezza capace di travolgere, avvolgere, cullare e sovrastare il pubblico che nulla può al cospetto di quella semplice, ma eccelsa forma d’arte.
Al contempo, Paolo Castaldi, genera “lo show nello show“: il suo live painting accompagna la performance di Jovine, come se fosse l’onda di energia sviscerata dalla voce del “re del raggae napoletano” a guidarne l’ispirazione: Paolo inizia a “sporcare” una grande tela bianca, con trame e “scarabocchi“, scriteriati, che, all’apparenza, non seguono alcuna logica, disposto alla sinistra del palco, amalgamato tra il pubblico, vicino a loro quanto basta per lasciarsi coccolare da quel tripudio di genuina e trascinante euforia, defilato quanto basta per non consentire a quell’onda anomala di “disturbare” l’evoluzione della sua ispirazione, frutto di incontenibile e sovversiva creatività, la medesima che prende corpo sul palco, attraverso la voce di Jovine.
“Generalmente svolgo il mio live painting sul palco, insieme ai musicisti – precisa Paolo Castaldi – per motivi di spazio, stasera non è stato possibile. Comunque, questa serata per me è vestita di un significato speciale: è la prima volta che “mi esibisco” qui a Napoli e accade proprio a distanza di qualche ora dalla presentazione del mio libro dedicato a Maradona”.
Figlio di napoletani, nato a Milano, Paolo, egregiamente impersonifica lo stereotipo che Jovine – accompagnato dal suo instancabile pubblico – descrive nella sua canzone “Napulitan‘ ” e poco importa che non sia collocato sul palco, il filo conduttore invisibile che lega le sue mani alla voce di Jovine trasuda dalla sua tela, pian, piano che il dipinto si compone, e, con esso, prende prepotentemente corpo lo spirito di appartenenza che impregna la sua arte. La loro arte.
Quegli occhi, i capelli ricci e neri, la maglia azzurra, sulla quale il pennello di Paolo imprime in maniera indelebile una “N”, mentre Jovine, sul palco, omaggia “il mago del pallone” cantando la sua celebre canzone “O’ reggae e’ Maradona”, narrando la gloriosa storia del “Re di questa città” anche alle nuove generazioni, nate troppo tardi per poter vantare il pregio di aver vissuto sulla propria pelle i brividi che solo le sue finte e le sue encomiabili prestazioni erano in grado di sortire su questo popolo.
Una figura che non conosce limiti spazio-temporali quella di Diego, che conferisce a Valerio e Paolo la certezza di aver impresso un brandello di intaccabile eternità alle loro diverse, ma parimenti pregevoli “schegge di arte“.
Valerio Jovine, però, non è solo “quello del reggae di Maradona”, ma una voce “sporca” di quei suoni e di quelle sfumature inconfondibilmente partenopee: la sua mimica, la sua dialettica, il suo modo di cantare Napoli e le sue storie, raccontano la parte “sana” e “costruttiva” di questa città, quella che ha voglia di rialzarsi e ribellarsi, di reagire e lottare, contro soprusi e discriminazioni, ma che intende farlo alla sua maniera: cantando e ballando, perché, senza allegria, l’anima di questo popolo risulterebbe irrimediabilmente inaridita.
“Passione” è quanto traspare da “No time”, “Da Sud a Sud”, “Good morning”, “Me so’ scetat’ e tre” e dalle altre canzoni che instancabilmente Jovine propone alla sua platea, mentre Paolo, imprime al suo ritratto brandelli di rosso, sul viso di Diego, così come sullo sfondo.
Perché proprio il rosso? Apparentemente così “distante” dal bianco della tela, dal nero dei capelli di Diego, dall’azzurro della maglia del Napoli? ” Ho scelto il rosso per creare un contrasto diverso che consentisse di far risaltare l’azzurro della maglia. – spiega Paolo – Se avessi usato un altro colore, l’azzurro si sarebbe notato di meno.”
Superbo escamotage per incoronare i colori di questa città, quindi, ma il rosso è pur sempre il colore per eccellenza che incarna la passione: “Ci sono significati che è giusto che ritrovino le persone, grazie alla propria capacità d’interpretazione emotiva, mentre guardano il quadro. Di solito, durante i live-painting, uso fogli più piccoli, ma stasera ho scelto di fare le cose in grande per lasciare un segno più eloquente di quello che questo campione ha rappresentato. Inoltre, questo quadro è un mio omaggio personale ai ragazzi di Mezzocannone 14.“
Intanto Jovine canta, ancora e sempre, continua a “sbudellare” frammenti di viscere partenopee, plasmandoli in musica, voce ed emozioni da condividere, ancora e sempre con il suo pubblico, perché se tutti, ma proprio tutti, non partecipano e non vivono la sua performance, Jovine sente di non aver affondato una “zampata” sufficientemente graffiante su quella strada solcata nella sua anima che lo condanna ad essere “servo dell’arte“.
Una festa, piuttosto che un concerto, “un inno alla vita“, piuttosto che “semplici canzoni.”
Jovine non rinnega la “classicità” della tradizione, piuttosto, la reinterpreta in chiave moderna, con una mano ancorata alle radici di Parthenope e l’altra protesa verso il cielo, “alla ricerca di un mondo migliore”.
In tal senso, il suo restyling di “Ma il cielo è sempre più blu” sfiora la genialità per quanto la sua voce si rivela capace di condire ritmi e percussioni di adrenalina ed estemporaneità.
Non segue una scaletta Jovine, la sua indole da “animale da palcoscenico“, così come l’incontenibile voglia di cantare e fondersi con il suo pubblico, non glielo consentono, piuttosto cavalca, insieme ai presenti, le emozioni alle quali la sua stessa musica gli impone di dare forma, voce ed espressione.
Le emozioni non si raccontano, le emozioni si vivono, ma riuscire a scaturire emozioni è, senza dubbio,il principio primordiale sul quale si ancora il concetto di “arte” e Jovine e Castaldi, insieme, hanno saputo conferire un degno ed eccelso tributo alla signora “arte” ed altresì alla terra che li ospitava.
“Mi è piaciuto vivere questo momento nella notte a cavallo tra il 24 e il 25 aprile, giornata che per me possiede ancora un significato importante – ha dichiarato Paolo – e il fatto che tutto sia avvenuto in uno spazio occupato, concorre a conferire ulteriore valore all’evento. ”
Libertà, Maradona, musica.
I soliti luoghi comuni su Napoli e i napoletani?
No, piuttosto il pane quotidiano di cui questa gente è affamata, i valori dei quali, attraverso sguardi e sorrisi, i napoletani, – di fatto ed adottivi – si fanno portatori e ai quali, questi due artisti, attenendosi alle regole che madre natura ha scandito nel loro Dna, danno voce ed espressione, ricordandoci quello che, appunto, troppo facilmente, tendiamo a dimenticare: quanto sia “unico” il modo di fare arte dei figli di questa terra.
Luciana Esposito
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