Ma non è solo oro quello che luccica, sul fondo della sorgente pura si intravedono ancora impurità che, alla lunga, possono trasformare una limpida fonte in acqua torbida, stiamo parlando, ahinoi, dei famigerati tempi di gioco che il Napoli, in maniera alquanto scellerata, concede all’avversario con una frequenza che spaventa, se si vuole considerare il discorso in prospettiva. La causa può essere attribuita ancora una volta all’approccio alla gara, emotivamente scarso e con poca verve, quasi ad attendere un passo falso dell’avversario, come se si volesse identificare dapprima una crepa nella guardia per poter penetrare l’avversario, senza cercare, invece, di assaltare il fortino senza attendere di vedere delle defaiance.
Insomma, non si può attendere la prima debolezza del nemico per poter tentare di abbattere il muro, la squadra ha nelle proprie caratteristiche la capacità di demolire l’avversario senza avere la necessità di questi sotterfugi. La pigrizia dell’agire potrebbe trasformarsi in una pericolosa fase di stallo sotto l’aspetto psicologico, e se ieri il Pescara non ha avuto le forze per imbastire una reazione concreta, è molto probabile che altre squadre avrebbero invece messo a repentaglio il risultato con una reazione decisamente più incisiva.
Per ovviare a questo difetto di fabbrica, bisogna ancora intervenire sulla mente degli azzurri, sulla loro tenacia, sulla capacità di sciorinarla sin da subito, senza aspettare che l’avversario mostri le sue debolezze. Questo non vuol dire cercare la perfezione, poiché un tempo di gioco è la metà di una gara, e cioè il 50% di possibilità in meno per tentare di agguantare la vittoria. Scusate se è poco…
Articolo modificato 28 Apr 2013 - 11:41