Nella storia del pallone pure l’asfalto ha avuto una sua funzione. Grigio, ruvido, una superficie abrasiva di una regione prestata alla libertà. Dalle finestre dell’immaginario del poeta Saba, ai reticolati spensierati di Alfonso Gatto, le battute di Beppe Viola e le partite giocate per davvero da Pasolini per le strade della borgata, un’unica rosa di calciatori mancati, ma solo per allargarlo quello sport che è più di uno sport.
Allargarlo dentro le ristrettezze della vita, quelle morali, quelle dell’istruzione, quelle economiche, nel primo tentativo di fare in modo che il calcio diventasse strabordo, fuoriuscita, sconfino deliberato, a mo’ di dispetto ai padroni e ai portatori di disciplina precostituita.
Nell’immaginario collettivo, almeno di quelli che hanno vissuto la strada pure per giocarsela, maggio ha sempre avuto un ruolo di raffinato comprimario. La scuola che suonava le ultime campanelle, i primi caldi, la fine dei campionati e il via libera a chiunque, di correrci per strada, magari pure con il nulla osta ancora in divisa scolastica. E allora fioriscono come da un’impollinazione subitanea, i campi di calcio composti sopra ogni luogo idoneo ad ospitarli, qualcuno pure in discesa e in salita, ognuno come un avamposto di scomoda libertà.
E maggio ne inaugura a bizzeffe, una parte tenuta in mente dall’anno prima, un’altra creata ad hoc, nuova, uscita per aggiornare lo stradario del pallone che rotola per strada. Pure in quelle occasioni il linguaggio para le sue innovazioni, consulta un dizionario privato, facendo appello a una consuetudine che nessuno sa chi l’abbia introdotta. Ogni volta, una riedizione della pratica della vita, sudata, sfatta, affannata e felice, per un momento appoggiata ai pensieri e con la prodigiosa capacità di vederli più da vicino e comprenderli ancora meglio.
Leopardi avrebbe voluto giocarlo, il pallone cantato in una delle sue odi. Garrincha, più forte dei suoi limiti fisici, più forte delle sue miserie, l’ha giocato il pallone che ne ha cantato le gesta, e magari avrebbe voluto possedere pure la voce per cantarlo lui stesso. Sono vissuti nell’anonimato i grandi calciatori mancati, eppur passandoci, spesso e volentieri, per quei luoghi anonimi della strada di ogni città.
Per molte regioni meridionali, maggio è un mese che rievoca antiche liturgie, dentro una tradizione popolare che scova storie di miracoli. Per qualcuno è il mese della madonna, per qualcun altro è il mese di altre meraviglie. In ogni caso, è il mese figlio della resurrezione. Puntuale si porta appresso le sue frazioni di poesia, la bonaria e boriosa spavalderia dell’azione personale che fallisce e resta impunita, o del pallone che fila dritto perché non c’è la rete a fermarlo.
Lo vedi nelle piazze importanti, nei vicoli e negli spazi ricavati a stento. Sta sotto le bombe e si ferma a guardare il silenzio. È un mezzo miracolo se vedi qualcuno giocare a pallone per strada, è una rappresentazione spensierata che si ripete in quegli altrove dove le cose sono per lo più intraviste.
Avete mai fatto caso che il cinema, la letteratura, la fotografia, sono pieni di sfondi color pallone? Che si tratti della tragedia o dell’allegria, di solitudine o di compagnia. La periferia istruisce tutto e tutti, guidando le mani a scorciare i calzoni dell’impiegato, a tirare via la giacca del borghese, a posare lo zainetto per liberarsi dell’età e della funzione personale. E quando al tramonto non si vede più niente, dove una volta c’erano le lucciole e adesso c’è la densità dell’asfalto, si ferma tutto, magari con l’intenzione di tornarci domani, o di non tornarci affatto, in onore di quella ragione girovaga e ambulante che hanno insignito il pallone a strumento di umanità e di miseria.
Chi vi scrive il pallone per strada lo ha visto giocare presso favelas e vicoli amari, laddove la vita è malfamata, ma, senza alcuna spiegazione, al gioco disegna la stessa faccia della spensieratezza. È un trucco, si sa, ma in mesi come quelli di maggio, non turbate le lucciole sopravvissute informandole che il pallone è buono pure d’inverno.
Questo articolo è stato scritto per protestare contro i provvedimenti di alcuni comuni pugliesi della provincia di Bari, che hanno vietato di giocare a calcio per strada.
Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka
Articolo modificato 3 Mag 2013 - 13:17