La storia di Sabina, disarma ed impressiona, invece, proprio perché sentenzia che l’estremo difensore del Napoli Carpisa Yamamay, quando si destreggia tra i pali, difende molto di più della sola e “semplice” porta azzurra.
I suoi sogni, le sue ambizioni, la sua carriera, i suoi sacrifici, le sue conquiste, quelle che le cicatrici tatuate sul suo corpo e nella sua anima le ricordano e grazie ai quali, oggi, è il portiere, ma soprattutto la donna che è diventata.
Il 12 maggio Sabina si appresta a compiere 24 anni, eppure la sua vita è già irreversibilmente segnata da esperienze forti.
La sua carriera, infatti, ha rischiato di essere bruscamente frenata da un tremendo infortunio, allorquando la 17enne Radu,all’epoca portiere del Pontecagnano, il 29 aprile del 2007, nel corso della partita giocata in trasferta sul campo del Marsala, in seguito ad un violento scontro di gioco, riporta la frattura di tibia e perone.
Che ricordo ti ha lasciato quell’incidente?
“Sicuramente conservo un bruttissimo ricordo, i medici non volevano farmi rientrare a Salerno, piuttosto volevano operarmi in Sicilia, poi, quando siamo riusciti a sbloccare la situazione, il viaggio di ritorno, in nave, dalla Sicilia a Salerno è stato sfiancante. Ero sola, per giunta minorenne, le mie compagne di squadra mi sono state vicino incessantemente, 24 ore su 24. Quell’episodio mi ha segnato la carriera, da lì a poco, probabilmente, sarei approdata su campi di maggiore rilievo. E’ stata un’esperienza di vita, ormai è tutto passato, sono riuscita a recuperare completamente, il merito è stato dei medici e dello staff che mi ha seguito nella riabilitazione, ma il fattore che ha inciso più di ogni altro sul mio celere e pieno recupero è stata la volontà di tornare a giocare. Infatti, siccome ho una soglia di sopportazione molto bassa del dolore, mi sono sottoposta alla riabilitazione solo per un mese, poiché era molto dolorosa e dopo la gamba mi si gonfiava e mi faceva male per tutto il giorno, così, ho preferito andarmene al mare, piuttosto che sottopormi a quelle torture!”
Tempi di recupero record, tanto inverosimili quanto surreali quelli conseguiti da Sabina che è stata capace di impiegare 3 mesi per rialzarsi dopo quell’atroce caduta, quando i tempi stimati dalla medicina fisica e riabilitativa per la ripresa da un infortunio di quella portata, oscillano tra i 6 e i 12 mesi.
Forza di volontà, spirito di sacrificio, amore incondizionato per questo sport, incontenibile desiderio di ritornare a volare tra i pali, questo è il pane quotidiano di cui si è nutrita l’anima di Sabina e che le ha consentito di diventare ciò che è oggi.
Cosa ti ha insegnato quella brutta parentesi della tua vita?
“Che devo mettere i parastinchi quando scendo in campo! – Ride Sabina, provando così a camuffare quell’angustiante imbarazzo che raspare dalle sue parole, mentre ripercorre quei momenti e la sua capacità di sdrammatizzare, seppur la tematica di cui si discute sia palesemente infima per lei, apre un prorompente scorcio sulla sua anima, utile a farci comprendere di che tenace pasta è fatta – Se potessi tornare indietro, ovviamente, quella partita non la giocherei, anche se è poi anche grazie a quell’episodio che adesso sono dove sono.”
Ovvero tra i pali del Napoli, una sorta di risarcimento morale che il destino le ha propinato per riscattare quella cruenta ed uggiosa esperienza che avrebbe potuto repentinamente costringerla a riporre i guantoni nel cassetto anzitempo.
Invece no, a Napoli, con il Napoli, in difesa della porta del Napoli, sta vivendo il momento più florido e gratificante della sua carriera.
La carriera di Sabina, infatti, appare abilmente scissa in due fasi ben distinte: la prima, costituita da una salita ripida, in virtù del fatto che durante la partita di rientro da quell’incidente, infatti, il Pontecagnano – squadra nella quale militava – perse proprio contro la “sua” ex Salernitana la partita utile a decretarne la promozione. La seconda fase, invece, nasce dalla partita d’esordio con la maglia del Napoli, proprio in quella stessa Sicilia nella quale è stata protagonista di quell’incidente che l’ha irreversibilmente segnata. Tuttavia, quella partita ha avuto tutt’altro epilogo, con una schiacciante e netta vittoria del Napoli, capace di imporsi con il risultato finale di 0-6.
Non hai visto in quel debutto una sorta di segnale inviatoti dal destino per farti intuire che la strada, da allora, sarebbe stata in discesa per te?
“E’ proprio come hai detto, è giustissima questa tua considerazione. A Napoli hanno sempre creduto in me, mi hanno sempre cercata, anche negli anni precedenti, ma dopo l’infortunio, non mi sentivo pronta fisicamente per indossare una maglia tanto prestigiosa, avevo ancora qualche acciacco, provavo ancora dolore. Poi, due anni fa, quando è arrivata la loro chiamata è stata una gioia per me poter venire a giocare qui e spero di arrivare il più lontano possibile, insieme al Napoli.“
Il Napoli Carpisa Yamamay, inoltre, è una delle squadre che vanta il più ampio turnover, a partire proprio dai due portieri:
“Sono fiera di far parte della squadra di un allenatore bravo, completo e preparato come Mister Marino, sempre abile nello scegliere chi mandare in campo, basando le sue valutazioni sul modo in cui ci vede lavorare durante gli allenamenti settimanali, ma anche facendo riferimento alle caratteristiche tecnico-tattiche delle avversarie e i risultati sono la dimostrazione della sua competenza.”
Come hai scoperto che ti piaceva stare tra i pali?
“Premesso che nel 2002, quando ho iniziato a giocare a calcio con la Salernitana, giocavo avanti, fu la presidentessa del club granata, che ricopriva proprio il ruolo di portiere, a vedere in me la stoffa dell’estremo difensore. Inizialmente, quando ero più piccola, non mi piaceva giocare in porta, credo che sia ovvio e normale che avessi voglia di giocare avanti. Poi,con il tempo, mi sono abituata ed ho ampiamente familiarizzato con questo ruolo. Per cui, devo ringraziare lei se adesso gioco in porta.”
Sei nata in Romania, ma quando avevi 4 anni, insieme alla tua famiglia, ti sei trasferita a Salerno. In cosa ti senti italiana e in cosa, invece, romena?
“Mi sento italiana al 100%, ho trascorso qui la mia infanzia e la mia adolescenza, a conti fatti, in Romania ci torno solo per le vacanze. Anche se, in questo periodo, alla luce di quello che sta accadendo in Italia, preferisco dire che mi sento romena al 100%! Ovviamente scherzo, ma le radici non si rinnegano mai, gioco con la nazionale di calcio femminile romena. Inizialmente, avevo pensato di optare per quella italiana, ma poi per ragioni burocratiche e non solo, ho preferito vestire quella maglia ed è anche più vantaggioso, poiché ho meno concorrenza e non mi pento della scelta che ho fatto.”
Cosa senti di dire a chi guarda con razzismo e diffidenza i tuoi connazionali che, come hai fatto tu anni fa, insieme alla tua famiglia, giungono in Italia alla ricerca di una vita migliore?
“A quegli italiani dico che non va fatta di tutta l’erba un fascio. Le difficoltà che possono incontrare loro in Italia, sono le stesse nelle quali possono imbattersi gli italiani che emigrano all’estero. Si tratta di persone che vengono qui per lavorare, mettere su famiglia, piuttosto che crescere i propri figli e garantirgli una vita più serena. Spesso gli italiani commettono l’errore di associare i romeni ai rom o ai moldavi, in ogni caso, non è mai giusto criticare o discriminare un popolo.”
A 11 anni eri già una campionessa di taekwondo. Oltre alla passione per il calcio e per lo sport, cos’altro anima la tua vita?
“La mia famiglia, trascorro il mio tempo libero a casa di mia zia che ha 4 figli piccoli, di età compresa tra i 7 e gli 11 anni, amo giocare con loro, alla play station piuttosto che a calcio e ogni tanto esco con i miei amici. Sono una ragazza all’antica.”
Cosa vuoi dire a coloro che non seguono il calcio femminile?
“Premetto che la Serie A maschile non mi appassiona: soldi a palate, attaccamento alla maglia zero, corruzione, partite falsate. Per me non rappresenta il vero calcio, quello fatto di sacrificio e passione. Per comprendere la differenza tra noi e loro è necessario guardare almeno una nostra partita, ma liberi da pregiudizi. Per cui, invito coloro che non ci hanno mai visto giocare, adesso che il clima è anche più mite, a venire al Collana per assistere a una nostra partita, senza però partire con il pregiudizio che, perché siamo donne, il calcio non è per noi. Sono sicura che si divertiranno e si appassioneranno, perché giochiamo un bel calcio, conseguiamo risultati gratificanti e dimostriamo attaccamento alla maglia.”
Luciana Esposito
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Articolo modificato 3 Mag 2013 - 10:17