Dalla Necropoli dimenticata di Castel Capuano – sulla quale, di tanto in tanto, riaffiorano i rifiuti -, la città greco-romana, l’età angioina, il viceregno, i disegni prospettici di Stinemolen, il grande piano Stopendaal per il risanamento della città, il primo piano urbanistico di inizio Ottocento, gli sventramenti, la Legge speciale del 1904, fino alle “Mani sulla città”, intorno alla speculazione edilizia targata giunte della “prima repubblica”.
Se di recente a Portici sono morte delle persone a causa del crollo di un balcone durante i festeggiamenti della ricorrenza dedicata a San Ciro, solo la fortuna ha risparmiato un esito di gran lunga peggiore per l’edificio crollato a Chiaia a inizio marzo. Da quello che s’apprende in giro, pare che i lavori per la nuova linea della metropolitana stiano scuotendo Napoli da sotto. A Chiaia, e non solo, i cittadini lamentano effetti strutturali alle abitazioni, nuovi rischi di crolli e una serie di incongruenze tra la strada come andrebbe trattata e come invece non avviene.
Sembra che per l’ennesima volta qualcosa di indelicato stia maltrattando un complesso urbano che da decenni, se non da secoli, vive il dubbio atroce se ricostruirsi o sopravvivere da museo a cielo aperto. Una grande città, in mano a una grande politica, farebbe entrambe le cose.
Eppure, mentre ancora ci si interroga su troppi da farsi, mentre il ritocco che sa di trucco mette mano in maniera piuttosto maldestra a luoghi che avrebbero bisogno di interventi al limite della “chirurgia”, mentre non si ferma la macchina antica delle buone intenzioni che vanno sotto il nome di “appaltatura”, che sia Napoli, che siano le sue porte, poco a poco qualcosa brucia e qualcos’altro cade a pezzi.
Qualche volta, se va bene, si resta tutti col naso all’insù, per assistere inerti e confusi al nuovo danno che si è abbattuto sulla vecchiaia della città, oppure il naso resta giù perché la fortuna non è venuta in soccorso. “Napoli sotto è vuota”, “Qua non si capisce niente”, “I palazzi sono troppo vecchi”, “Guardate qua, in pochi anni cosa si è formato”. Queste e altre, le voci e gli sfoghi attorno a ogni volta che si ripete un episodio di una parte della città che scompare per non tornare più.
Adesso, come da una vita, è un susseguirsi di denunce, di perizie, di passaggi tra comune, stato e regione, di atti e contro atti, nelle more di un processo edilizio che è la celebrazione affaristica del processo alla città. Passi la facile battuta, adesso sarebbe pure di cattivo gusto usare il luogo comune che certe cose le sanno anche le pietre.
Quando a Napoli, negli anni ’sessanta, fu proiettato, presso il Maschio Angioino, il film “Le mani sulla città” di Francesco Rosi, pellicola che denuncia le speculazioni e la corruzione di un’intera classe politica napoletana e non, nell’ambito della gestione edilizia cittadina, in prima fila, quel giorno, c’era Antonio Gava, allora presidente della Provincia di Napoli, personaggio che poi avrebbe ricoperto i più alti incarichi politici nazionali per nome e per conto della Democrazia cristiana, al punto di essere soprannominato il “Vicerè”, tanto era grande il suo potere.
Quel giorno, Antonio Gava, in prima fila al Maschio Angioino, alla proiezione di un film scandalo dell’epoca, dove Napoli stava mal figurando sotto molti punti di vista, in quel frangente, Gava applaudì con grande entusiasmo.
Quando penso alla Napoli corrosa e in decadimento, mi viene in mente una frase di Corrado Alvaro. “Il meridionale ha un tale desiderio del potere, poiché non conoscendo una libera società dipende tutto dai potenti, che è entusiasta del potere qualunque esso sia”. Ecco, il guaio è questo. Ogni volta che Napoli cade, c’è sempre una risata o un applauso a rialzarla. Forse fu un male quel tempo in cui la si istruì a pensarlo come un bene.
Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka
Articolo modificato 7 Mag 2013 - 16:22