Da Gabriel Hanot a Tony Britten, breve storia della Champions League

champions-league-2Gabriel Hanot e Tony  Britten. E sembra la doppia regia di un film d’autore. Invece, è pallone di questo e di altri tempi. Origine della più importante competizione continentale, quella che forse pareggia le aspirazioni che soltanto la Coppa del Mondo può conservare.

E ti pareva che la Coppa dei Campioni, oggi Champions League, non doveva nascere da una disputa tra due dei grandi imperi della storia dell’Europa centrale. E sì, perché pure se la “Coppa dalle grandi orecchie” rievoca sogni e commozioni dentro l’immaginario collettivo di ogni appassionato, di ogni tifoso, di ogni uomo di calcio, questa, come molte delle faccende storiche, affonda le sue antiche radici dentro la rivalità tra i grandi poteri dell’Europa moderna.

Fu Gabriel Hanot, inviato del giornale francese “L’equipe”, a firmare l’articolo che originò la Champions League. Fu nel lontano 1954 che il giornalista francese, dopo aver letto le lodi mediatiche inglesi alla grande vittoria del Wolverhapton ai danni della Honved, la super squadra ungherese padrona del calcio europeo, scrisse un articolo di risposta ai rivali storici inglesi per ammonirli che la loro squadra, i Wolves, “i lupi”, avrebbe fatto meglio ad aspettare prima di sentirsi i più forti d’Europa, perché si sarebbero dovuti prima confrontare con le squadre di Mosca, con quelle spagnole e con quelle italiane, prima di sedersi sul trono del vecchio continente.

Pochi mesi dopo, Hanot, ex calciatore, appoggiò la bozza del progetto dell’Equipe sulla possibilità di organizzare un grande torneo europeo tra i migliori club in circolazione. Indirettamente, il guanto di sfida alle provocazioni inglesi era stato lanciato. La FIFA non perse tempo. Una serie di complesse attività diplomatiche furono indirizzate verso l’organizzazione di un torneo che ospitasse, poco a poco, le migliori espressioni del calcio moderno, globalmente inteso.

Erano gli anni in cui i paesi europei avevano reso più solidi i ponti col mercato sudamericano, attraverso le naturalizzazioni e i tesseramenti dei più forti calciatori brasiliani, uruguaiani e argentini. Il confronto tra i due blocchi del pallone a livello planetario era già cominciato, grazie alla rivalità tra le nazionali europee e quelle sudamericane. Il calcio mondiale aveva aperto le porte delle sue due più importanti scuole di pensiero. Il soccer essenziale e tattico del vecchio continente, forgiato nello studio degli scienziati del pallone, Arpad Weisz, per esempio, e nella disciplina di squadra tipica dell’interpretazione ideologica e militaresca delle grandi squadre dell’est. Dall’altra parte, l’estro, la genialità, la creatività quasi anarchica della bola latinoamericana, fornivano al pianeta il modello artistico del calcio estetico e spettacolare.

Si trattava soltanto di far sorgere una competizione che nel tempo potesse raccogliere le due scuole, riunendole in uno scenario internazionale che, se pur limitato a un solo continente, rendesse gloria e profitto ai grandi del pallone. Forte fu la spinta di Gustav Sebes, il leader del grande calcio ungherese, e di Santiago Bernabeu, storico presidente del Real Madrid (oggi lo stadio delle merengues porta il suo nome), verso l’approvazione di quella che si sarebbe poi rivelata una delle più riuscite idee delle istituzioni calcistiche.

Nel settembre del 1955 fu disputata la partita inaugurale della “Coppa dei club campioni”. Partizan Belgrado e Sporting Lisbona fu la gara d’iniziazione del più prestigioso trofeo del calcio europeo. Come previsto, il tempo ha poi dato ragione alla Coppa dei Campioni, trasformandola presto nel più ambito trofeo per club. Negli anni, non c’è stata squadra che non l’abbia sognata. Le più grandi società europee l’hanno sempre considerata la Coppa per eccellenza, il momento più alto per la competizione professionistica.

Fino ai primi anni ’90, la Coppa dei Campioni era riservata soltanto alle squadre vincitrici dei loro campionati. Nel 1993, grazie alla spinta finanziaria dei grandi sponsor, delle televisioni e del calcio cambiato in seguito a nuove impostazioni obbligate soprattutto da ragioni economiche, la Coppa dei Campioni, col nome di Champions League, ha ceduto il lasciapassare anche alle seconde classificate, e poi fino alle quarte dei paesi col più alto coefficiente, il punteggio accumulato dalla nazioni col migliore rendimento di club e nazionali.

Celebre è l’inno della Champions League, per certi aspetti divenuto la colonna sonora della nuova Europa calcistica. Una sorta di “Inno alla gioia” del pallone. Il brano è stato scritto da Tony Britten, che si è ispirato a “Zadok the priest”, di George Frideric Handel. Il compositore scrisse Zadok the priest inserendolo tra i quattro inni dedicati all’incoronazione nel 1727 di Giorgio II re di Gran Bretagna.

Quell’inno veniva sistematicamente suonato a ogni cerimonia di incoronazione del re. Oggi è l’inno della Champions League, e il testo è composto da versi in inglese, francese e tedesco, le lingue ufficiali della UEFA e dei tre grandi imperi della storia europea. La “Coppa dalle grandi orecchie” ascolta e conosce tutto, ma nulla rivela. La grandezza è muta.

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka  

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