Se infatti per l’inossidabile Grava c’è stata una ribalta totale, giustificata anche dal pedigree unico che lo ha visto con i colori del Napoli fin dalle ceneri del fallimento, risalente al 2004, per Hugo Campagnaro è stato attuato una sorta di addio silenzioso, quasi in sordina, privo di quel bagno di folla che gli stessi tifosi avrebbero ritenuto necessario dedicargli.
Scelta voluta, o dimenticanza figlia dell’ultima sbornia stagionale al San Paolo, il ruolo di comparsa assegnato al difensore argentino è un gesto piuttosto infelice, per non dire irrispettoso, nei confronti di chi, nonostante il trasferimento anticipato ad una diretta concorrente come l’Inter, non ha mai lesinato un briciolo di energia, sposando la causa con una dedizione tale da far impallidire qualsiasi altro professionista, sportivo e non.
Anzi, scorrendo il rendimento globale di Campagnaro appare più che lecito rimpiangere la sua partenza, che per pochi spiccioli priverà il Napoli del futuro di un elemento avanti con le primavere ma di sicura affidabilità. D’altronde, non è la carta d’identità a parlare sul campo, ma i muscoli, l’impegno, la grinta, il sudore profuso per il raggiungimento di un obiettivo. Caratteristiche che, al giorno d’oggi, raramente trovano il conforto della continuità tipica dell’atleta esemplare, ormai autentica chimera di un’arte sempre più vittima della logica dei numeri.
Tuttavia, è piacevole vedere come alcune eccezioni non tramonteranno mai, in particolar modo quando si è consapevoli che una banale cessione non riuscirà a scalfire il ricordo di un calciatore (e un uomo) straordinario dal cuore azzurro. Una tonalità che rimane impressa nell’animo, soprattutto se si è nativi della terra del più Grande in assoluto.
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