Napoli Ciuccio \ Forse non tutti sanno che il simbolo che negli anni ha rappresentato gli azzurri, il famigerato “ciuccio” non è figlio di improvvisazioni di qualche fantasioso pioniere partenopeo, né tanto meno frutto di una ben specifica figura animale avvicinata per qualche fattore storico-culturale alla storia sportiva del Napoli. Il fatto, è doveroso dire, è quantomai pittoresco e intrinseco nella poliedricità del popolo napoletano già dai tempi del cosiddetto “cippo a Forcella“. Era l’anno del primo campionato a 20 squadre, suddiviso tra 17 compagini del nord e 3 del sud, una vera è propria epoca storica per il campionato di calcio italiano.
All’epoca, l’Internaples di Giorgio Ascarelli, squadra che rappresentava la città, si vide quasi costretta ad assorbire un nome meno “inglese” e più consono alla realtà sportiva del paese, nacque quindi L‘associazione calcio Napoli, con il chiaro intento di portare in alto il nome del sud contro gli squadroni del nord Italia, già da tempo molto più avanti nella tecnica ma soprattutto già in possesso di calciatori di un certo spessore. Se ne accorse subito il povero Napoli che subì una serie di sonore sconfitte che abbatterono sin da subito le velleità di un gruppo messo su troppo in fretta. più per non mancare l’appuntamento che per puntare realmente ad un campionato dignitoso. Con in squadra già il temerario Sallustro, gli altri nomi di grido furono Paolo Innocenti (il famoso “Pippone“) ed il siciliano ed omonimo del poeta, Pirandello, sfortunato atleta vittima, qualche anno più tardi, di una iniezione che risulterà letale.
L’unica partita che sembrò potesse regalare agli azzurri l’unica vittoria di quel torneo fu la storica Napoli-Brescia giocata sul campo dell’Arenaccia, dove lo 0-0 regnava indomito fino a pochi minuti dal temine, quando l’arbitro Malagodi concesse un rigore ai partenopei che aveva tutta l’aria di poter essere l’occasione giusta per il gol della vittoria. Ma, nefasto fu quel tiro dal dischetto, poiché Kreutzer si fece ipnotizzare dalla saracinesca delle rondinelle, tale Trivellini, in giornata di grazia.
Pari e primo ed unico punto della storia di quel campionato, ma non bastò a fermare la delusione dei tifosi, tant’è che l’usciere del famoso giornale satirico dell’epoca (ebbene si, già nel ’26 avevamo spirito a tal punto da scrivere un giornalino) dal nome inconfutabile “Vache ‘e Presse” , sfegatato supporter azzurro, esclamò con disarmante naturalezza la frase “A mme chistu Napule me pare ‘o ciuccie ‘e fechella; tene nuvantanove chiaie e ‘a coda fracita” ergo “sembra l’asino di Fechella, novantanove piaghe e la coda marcia”. La frase emblematica suggellava con chiarezza (almeno per quelli avvezzi al dialetto dell’epoca) che quella squadra era più sfortunata dell’asino di tale “Fechella“, soprannome dato ad uno scheletrico e malaticcio omino di nome Don Mimì Ascione, originario di Torre del Greco, che col suo asinella malandato e più ammalato di lui, faceva servizio di vettovaglie nella zona del rione Luttazzi.
Da allora il ciuccio, sinonimo di lunga ed estenuante fatica, divenne il simbolo di un Napoli operaio ma volenteroso di scrivere la storia calcistica di un club che diventerà la stella del Sud. In quello stesso campionato si assistette anche alla prima rete del Napoli segnata in serie A, realizzata dal sopracitato “Pippone” Innocenti. Ed il ciuccio affaticato cominciò la sua estenuante salita verso insperati traguardi…