A Walter, di Giacome il Leopardato

Mazzarri_1Walter, rimembri ancore
quel tempe del tuo esistezialismo napoletano,
quande pallosità prendean forme
negli occhiolini tuoi scaltre e fuggiasche,

e tu certo e per nulla pensoso, il limitare
di nuovi ingaggiamenti salivi?

Si sfracassavan le annoiate stanze,
e i corridoi d’intorno
al tuo perpetuo pianto,

allor che all’opera di esaltazione modulare
spargevi, assai contento
di quel certo avvenir nerazzurro che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi così
menare il giorno.

Io gli studi leggiadri
talor lasciando e le appiccicose carte,
ove il tempo mio primo si distruggeva
in soavi sportivanze
porgea l’orecchiette al suon del tuo intervisto,
e alla man veloce che rapida firmave altre carte.

Miravo la tua man sul core, il camicio bianco,
e quindi il tricolore prossimo venturo, e quindi il tuo onestaggio.
Lingua mortal non può dir la serpe che avevi in petto.

Che pensieri soavi,
che speranze, o Walter mio!
Come bella allor mi apparia l’annosità futura.
Quando mi ricordo di cotanta speme,
una parolaccia mi preme nello sterno
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di mia stronzura.
O Walterino, o Walterino,
perchè non rendi poi quel che promettesti allor?
Perchè di tanto inganni i tifosi tuoi?

Tu prima che il migliaccio perisse nel forno
da aperta voglia combattutto e vinto,
tradivi, o tenerello. E non vedevi le mancanze tue.
Non sentirai più la dolce lode delle curve piene,
gli sguardi colorati e il banderuolo azzurresco,
nè teco Bigon ai dì del mercato ragionerà sulle carni giovanili da scartare.

Ahi come, come passato sei,
caro compagno dell’età laurentiana nuova,
mio “lacrimato” allenatore.
Questo è il periodo di riflessione? Queste le tante valutazioni, gli stimoli, i progetti
onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte delle umani genti che in te credettero?
All’apparir del vero
tu, misero, cadesti: e con la furba mano
la fredda Milano ed una coerenza ignuda
mostravi di lontano.

Carlo Lettera
Riproduzione riservata

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