Ci sono emozioni che raccontano storie, così perfette nella loro nuda essenzialità, che non necessitano di essere ornate con pomposi ed appariscenti orpelli, in quanto non farebbero altro che svilirne la già impeccabile bellezza.
Ciò è assai più veritiero quando l’emozione che racconta la storia è racchiusa in una canzone.
E ciò è, senza dubbio, ancor più calzante nel caso di “Sei”, singolo estratto dall’omonimo disco, ultimo “figlio” partorito da Valerio Jovine: fertilissima “fornace di musica” ancorata tra le braccia di Parthenope.
L’unità di intenti cavalcata da musica e testo, così come dal video della canzone stessa, è proprio quella di accendere i riflettori sull’emozione insita nella storia narrata, cucendole addosso il più sontuoso degli abiti che una prima donna può indossare ad una serata di gala, consentendole di predominare la scena, regnando sovrana ed incontrastata su qualsiasi altro elemento.
Cosa ha a che fare questo con Napoli e con il Napoli?
Qualcuno, frettolosamente, può chiedersi.
In realtà, Jovine è un artista vittima della sua stessa arte, incapace di scindere la sua essenza dal suo essere, ragion per cui, entrambi, armonicamente, convergono nelle sue canzoni.
Il suo spirito d’appartenenza, forte, sanguigno, verace, il legame indissolubile con questa terra, la sua terra, marchiano la sua musica, anche quando, apparentemente, se ne disinteressa, poiché, inconsapevolmente, fonde brandelli di napoletanità tra note e parole, dipingendo, attraverso la sua voce, un crudo ed immortale affresco, al quale, di volta in volta, sceglie di imprimere colori più o meno marcati.
La “N” cucita sul cappello che indossa nel video, piccola, quasi disarmante nella sua eccelsa e minuziosa beltà, impercettibile, eppur così immensa per quanto inestimabile è l’accezione di senso di cui si fa portatrice, non smentisce il sentimento su cui si salda la sua identità di uomo e di artista.
L’intero video, apparentemente così spoglio ed effimero, è, in realtà, un covo di sfumature, quelle che la sensibilità individuale e soggettiva di ognuno di noi è in grado di cogliere ed afferrare dalle scarne immagini piuttosto che dalla voce, nuda, graffiante, viscerale di Jovine oppure dalle melodie percorse dagli strumenti, perfette nella loro mera morigeratezza.
Le sensazioni che nascono da questo brano e dal suo video, sono come quelle che possiamo percepire passeggiando a piedi nudi sulla spiaggia, lasciandoci accarezzare i piedi da quella che un tempo era un’onda e che, giunta a riva, si dissolve in un fluttuoso trasporto di minuziosi, inafferrabili, ma tutt’altro che flebili, brandelli di infinito.
Le stesse onde alle quali nel video è consentito zittire la musica per travolgere la scena, bagnandola con i brividi di cui il mare è intriso e che lui, solo lui, sa tatuarti sulla pelle.
Quello stesso mare, quelle stesse onde che vivono dentro ogni napoletano e che rappresentano la “condanna” che gli strazia il cuore, quando, lontano dalla sua terra, non può curvarsi verso quello sconfinato e spietatamente sincero specchio che meglio di nessun altro sa dirti chi “sei”.
Valerio Jovine e Luciana Esposito
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