Secondo alcune fonti, pare che le autorità del Cremlino abbiano addirittura predisposto la falsificazione dei certificati di morte, per dirottare su cause estranee ai fatti di Mosca, le ragioni della scomparsa di alcune persone. I funzionari russi potrebbero aver cambiato persino il volto della morte, per evitare che rivelazioni scomode e imbarazzanti potessero ritorcersi contro la reputazione del regime.
Ufficialmente, Jurii Andropov, segretario del PCUS, succeduto a Breznev, comunicò che 67 persone persero la vita alla fine della partita di calcio tra lo Spartak Mosca e gli olandesi dell’Harleem, gara disputata allo stadio Luzhniki di Mosca.
La comunicazione, molto probabilmente spoglia di dettagli importanti, arrivò dopo che la stessa stampa russa aveva diffuso notizie superficiali sull’accaduto.
Il 20 ottobre del 1982, nello stadio che una volta era intitolato a Lenin, dopo il fischio finale della partita tra Spartak Mosca e Harleem, un numero imprecisato di persone perde la vita schiacciato dalla calca all’uscita della tribuna, settore C.
Il secondo goal dei padroni di casa, allo scadere di gioco, richiama l’improvvisa attenzione dei numerosi spettatori che avevano iniziato ad abbandonare lo stadio, anche a causa delle condizioni atmosferiche di quei freddi sedicesimi di finale di Coppa UEFA. Il gol di Shvetsov, che successivamente dichiarerà di essersi pentito d’averlo segnato, scatena l’esultanza dei presenti sulle tribune, mentre quelli già fuori cercano di rientrare, trovando però l’ostacolo dei militari che ne impediscono il rientro. Lo spazio tra l’uscita e gli ingressi è troppo piccolo e vi restano stipate un numero troppo alto di persone per essere sopportato. La folla schiaccia la folla, e l’unica via di sfogo possibile resta chiusa a causa dell’impedimento dei soldati.
Ai militari non arrivano ordini, e, non sapendo come comportarsi, restano inerti ad assistere alla consumazione di una tragedia che sarà svelata soltanto successivamente, anche agli stessi calciatori di Spartak e Harleem, che lasceranno gli spogliatoi senza che qualcuno li informi dell’accaduto. Alcuni poliziotti, secondo diverse testimonianze, cercano di aiutare i tifosi rimasti incastrati nella ressa, altri invece, in preda alla paura e all’indecisione, non sanno come comportarsi.
Sono i primi anni ’80 dell’Unione sovietica, la Russia di Breznev, l’ultimo dittatore russo. L’uomo dei numerosi interventi militari, della Ostpolitik, degli interventi in Africa e dell’Afghanistan, del nepotismo e della corruzione. L’uomo del bacio a Honecker, segretario del comitato centrale del partito socialista della Germania est.
Gli anni ’80 sono quelli del progressivo disfacimento dell’Unione sovietica, al quale Breznev non assisterà, perché morirà nel 1982. Ma il suo quasi ventennio di guida politica sarà l’ultima conferma di una delle due facce del dopoguerra.
Lo smarrimento di quegli anni si trasferisce pure nella tragedia dello stadio Luzhniki, quando, secondo fonti attendibili, più di 300 persone muoiono schiacciate da una ressa che nel lutto dei giorni e degli anni successivi consegna alla cronaca un numero minore di vittime, onde ridurre maldestramente l’entità e l’imbarazzo dell’accaduto per un governo ritenuto responsabile di un’organizzazione della sicurezza rigidamente militarizzata e poco efficace.
Del resto, lo ha scritto pure Dostoevskij nei “Demoni”, che “Per rendere la verità più verosimile, bisogna assolutamente mescolarvi un po’ di menzogna”.
Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka
Articolo modificato 13 Giu 2013 - 14:31