Calci piazzati, numeri di alta scuola, assist al bacio, tutto ciò che Gianfranco Zola ha imparato a fare ad occhi chiusi arriva da un indiscusso bagaglio tecnico di base, questo senza dubbio, ma di certo gli allenamenti e le tecniche assorbite dal pibe de oro lo hanno forgiato definitivamente come calciatore dapprima, come fuoriclasse poi, ponendolo all’attenzione del calcio mondiale. Gli anni napoletani furono quelli della crisi societaria, per cui Zola, assieme a qualche altro pezzo pregiato, fu sacrificato per la causa azzurra, per un risanamento che qualche anno più tardi diverrà inutile, a causa di un fallimento soltanto rimandato. Con la maglia azzurra ha collezionato 105 presenze e 32 gol, alcuni dei quali davvero molto simili a quelli che il suo maestro gli aveva mostrato più di una volta in allenamento. Lontano dal Vesuvio diverrà dapprima un campionissimo nel Parma dei miracoli, per divenire poi “Magic box” al Chelsea, piantando in Inghilterra la bandiera del conquistatore. Tornerà nella sua Cagliari per concludere una carriera strepitosa e ricca di soddisfazioni:
L’anno successivo alla partenza di Zola, sbarcò al San Paolo quel Paolo Di Canio che prometteva di emulare alone, meno in parte le giocate ubriacanti del sardo, facendo ben presto dimenticare quella dolorosa partenza. Nonostante gli fu assegnato il numero 7, Paolo in alcune occasioni si confermò essere un trascinatore, mettendo a segno prima un gol memorabile al Milan, rimasta nella leggenda come une dei più belli visti al San Paolo, poi suggellò una magnifica stagione segnando a Foggia il gol qualificazione in Uefa. Segnerà 5 reti in quella stagione ed i tifosi credettero di aver trovato un nuovo condottiero:
Ma le acque societarie erano sempre più torbide e anche Di Canio trovò a Napoli soltanto un porto di mare ove attraccare prima di sbarcare verso orizzonti più consoni ai grandi giocatori. Nell’annata ’93-’94 la figura dell’estroso, il genio, il mago degli assist e dei calci da fermo venne affidata a Benito Carbone che arrivava nell’ambito della trattativa che portò alla Roma Daniel Fonseca. Nonostante non avesse un curriculum eccezionale, ben presto Carbone divenne l’idolo dei tifosi, forse anche per le movenze che ricordavano proprio Zola, più che Diego. Nonostante mise a segno soltanto 4 reti in campionato e 3 in coppa, si impose all’attenzione e divenne ben presto uno dei cardini su cui poter costruire una buona squadra. Ma fiutato l’affare, lucidata l’argenteria di famiglia, anche Benny Carbone fu ceduto al miglior offerente (l’Inter per 6 miliardi) per fare cassa ed evitare il peggio, o per lo meno per trovare i soldi per l’iscrizione al campionato:
Approda in azzurro un nuovo estroso giovane, Arturo Di Napoli, che arriva dal Gualdo e ben presto si mette in luce collezionando 27 partite e 5 reti con la maglia del Napoli. Anche su di lui si ripongono le speranze di una piazza oramai ridimensionata ed aggrappata a qualche giovane sconosciuto che, preso dalla voglia di rivalsa, riesca a fare miracoli e spinga la squadra lontano dal baratro della retrocessione. Proprio quei pochi gol di Di Napoli serviranno ad evitare il peggio, ma ancora l’Inter, proprietaria dell’altra metà del cartellino, a Gennaio 1997 lo riscatta per assicurarsi le prestazioni di un ragazzo che avrà poca fortuna e che forse avrebbe meritato altri palcoscenici, osservando anche la sua strepitosa carriera nelle serie minori, dove segnerà con le maglie di Salernitana, Messina ed altre compagini minori, la bellezza di quasi 200 gol.
Dopo quegli anni bui la figura del calciatore dal baricentro basso che emulasse, almeno nelle gesta, l’ombra del pibe, è venuta a mancare per manifesta inferiorità, oppure se vogliamo, per cercare di dimenticare un sogno che avrebbe soltanto illuso e deviato le reali necessità di una società che aveva bisogno di risalire la china ed abbandonare i fantasmi del passato. Il più recente clone della stirpe maradoniana a Napoli potrebbe essere stato il pocho Lavezzi, limitandoci ad osservarne le movenze ed i tratti fisici (per carità !) e probabilmente, per capacità tecniche e fisiche, contestualmente in una società finalmente risanata e pura come un giglio, avrebbe forse ricalcato qualche vittoria oramai dimenticata, ovviamente con l’ausilio di una squadra adeguata. Volendo dare anche uno sguardo al futuro, la sorte ha voluto regalare ai napoletani il prodotto della propria gente, costruito ad immagine e somiglianza del ragazzo napoletano medio, pronto a sfondare nel panorama mondiale e a regalare al proprio pubblico le vittorie che si aspettano da decenni, e proprio dai sopracitati predestinati che Lorenzo Insigne dovrebbe assorbire storia, estro, caparbia e sofferenza per dire un giorno di essere divenuto il nuovo numero dieci di Napoli grazie anche ad uno sguardo ai beniamini del passato.
Articolo modificato 15 Giu 2013 - 18:12