I tifosi carnali erano assiepati tra i pini marittimi nell’attesa del Rafaniello. L’emozionalità faceva pressanza al cuore e il battite accelerave. Risultanza del tutto fu che i corpini corpulenti delle massaie davvero troppo assaje nel nostro città erane imbevute di sudori urticanti e acidi.
Si narra di un bimbe di 11 mesi che mentre faceva succhianza dal capezzolo gustoso abbia incominciate ad essere vittima di allucinismi, sentendo il madre esibirsi in un’orazione linguaiola perfettamente italiana e grammatichese.
Nel mentre nelle case violentate dal sole accadevano visioni di tal sorta, nelle pinete domiziane pellami nudi erano dissanguati da feroci zanzarismi. Ma doveve arrivare Pancho Villa, e tutte erano ben contente di sorbirsi mosconi e collassi temporanei.
E Fernando Sancho arrivò, sommerse dalle luccicanze dei flash,un po’ timide e ancor più rossastro per la calura. Portate in un sala stampa rivoluzionaria, così digitalizzata che dietro le quinte era possibile accedere ai macchinari della dematerializzazione e alla capsula del viaggio nel tempo. C’erane giornalismi di ogni dove, ci furone perfine domanda in lingua Maya e Azteca; per la prima volta si mostrarone alle telecamere alcuni uomini appartenenti all’ultima tribù dell’Amazzonia non ancora civilizzata.
Il colpe di teatraggine si consolidò al fine della conferenza. Un elicotterismo tecnologiche rapì i due protagoniste. Li vedemme alzarse nel ciele bianco e appiccicoso della sera. Sparirono inghiottite da perplessità e stupori. Che belle sceneggiato, tipiche del matrimonieggio napoletano. L’elicottero che porte via gli sposi, verso il ristorante dell’abbuffata. “Simme o nun simme napulitane”? Così Benitez risucchiato dal mandolino di Apicella nascosto nel motore dell’oggetto volante…
Carlo Lettera
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Articolo modificato 22 Giu 2013 - 15:51