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Da Nello Saltutti a Ugo Ferrante, i decessi sospetti alla voce doping

Da Nello Saltutti a Ugo Ferrante, da Mattolini a Roversi, da Scaini a Gorin, l’elenco di calciatori scomparsi per malattie sospettate di avere avuto legami con l’uso di doping si compone di centinaia di nomi. Un’anagrafe luttuosa lunga quarant’anni. Carlo Petrini, ex calciatore recentemente scomparso, anch’egli per un tumore, ha trascorso gli ultimi anni della sua vita denunciando gli scandali del calcio che il calcio non vuole ascoltare. Libri, interviste, testimonianze, indagini, documenti, hanno dimostrato che esiste il nesso di causalità tra l’uso di sostanze dopanti e la morte di tanti calciatori. Decessi prematuri, in età ancora giovani, oppure sopravvenute in maturità, ma sempre per gli effetti incontrollabili di certi farmaci.

Come le vittime di un grande impianto industriale, in cui per anni hanno lavorato operai che invece della pensione hanno ricevuto tumori e leucemie, così la macchina del pallone ha impiegato la sua manovalanza, di certo privilegiata rispetto a quella del mondo operaio, su una catena di montaggio invisibile perché garanzia di successo e di celebrità, dell’ebbrezza della gloria, del sogno rincorso durante la prima giovinezza.

Funzionava e funziona così. Calciatori che già in età giovanissima fanno uso di sostanze proibite, che spesso sfuggono ai controlli, e che riservano i loro effetti devastanti in età più avanzata, o a fine carriera, o ancor peggio durante la carriera, causando malattie, infarti e menomazioni. E Nello Saltutti, classe ’47, lo ha confessato pure, prima di morire, che da ragazzo, nell’infermeria del Milan “era una cosa impressionante”, e che gli era parso troppo strano di essere passato in un anno da 1 metro e 60 centimetri a 1 metro e 75 centimetri.

Così come non era riuscito a comprendere la pratica frequente di Liedholm di portare i suoi calciatori dalla fattucchiera di Firenze, perché doveva togliere il malocchio. E, allo stesso modo, Saltutti non aveva compreso subito che il contenuto del thermos per la partita di Manchester non era solo caffè, e che quel caffè era servito anche a lui per correre più veloce degli altri e sorprendere come pochi la stampa e gli appassionati inglesi.

E sembra pure che a Nello Saltutti avessero somministrato il celebre Micoren, farmaco proibito, poi scomparso dalla circolazione, assieme al suo compagno di stanza Bruno Beatrice, calciatore anch’egli prematuramente scomparso, al quale sono state dedicate associazioni e iniziative. Nello Saltutti, fino ai suoi ultimi giorni di vita, mai ha fatto mistero che certe decisioni, intorno alla preparazione atletica dei calciatori, venivano prese dai dirigenti e dagli allenatori, talvolta consapevoli degli effetti che le sostanze somministrate, anche all’insaputa degli atleti, potessero causare. E Nello Saltutti è andato via nel 2003, col cuore trafitto da troppi infarti, le cui cause, purtroppo, resteranno sempre sospette.

Pure l’Inter di Herrera ha dovuto fare i conti con la verità, quella verità di pillole misteriose, ipotetico e segreto “supporto farmaceutico” a quel miracolo di squadra che incantava il mondo del calcio. E tra le testimonianze tragiche e inquietanti c’è stata quella di Giuseppe Longoni, in prima giovinezza calcistica legato proprio a quella vicenda irrisolta.

Lo stesso può dirsi di Ugo Ferrante, classe ’45, calciatore negli anni ’70 e scomparso nel 2004, che, secondo le dichiarazioni di Ferruccio Mazzola, suo compagno di squadra nella Fiorentina, avrebbe fatto uso di sostanze che gli avrebbero poi procurato gravi problemi di salute, dopo una carriera in cui non fu mai scoperto e squalificato, come è accaduto a molti altri calciatori dell’epoca e delle generazioni successive.

I circa 400 nomi, un intero campionato, dei calciatori scomparsi, prematuramente o meno, a causa di malattie molto probabilmente causate dal doping, sono i nomi di atleti coscienti e incoscienti, di vittime di se stessi e non solo di se stessi. E sarebbe un errore pensare che questi nomi appartengano al passato.

Un’indagine condotta dal Wada, l’agenzia mondiale antidoping, ha chiesto alla FIFA l’adozione di un “passaporto biologico” per gli atleti, con cui monitorare costantemente il profilo ematico dei calciatori, così da poter contare su controlli più dettagliati e affidabili. David Howman, presidente del Wada, ha affermato, “Vivrei in un sogno, se pensassi che non ci sono persone disposte a tutto, per ottenere scorciatoie utili a raggiungere il successo”.

Il calcio muove pedine oggi preziose, domani inutili, superflue, a tal punto, da fornire loro la guida per l’autodistruzione. Non è moralismo. È la storia che non sempre si è disposti ad ascoltare. Dovrebbero raccontarla ai bambini ogni sera, come si fa per educarli alla cattiveria del lupo. E poi, in fondo, non è lui il vero cattivo. Bisogna stare attenti soprattutto ai cacciatori.

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka

Articolo modificato 27 Giu 2013 - 11:15

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