Napoli Ascarelli \ Il titolo emblematico con cui esordiamo in questo articolo si spera possa avere il pregio di elevare a mito una figura ben presto dimenticata dalle menti ingrate dei calciofili moderni. In realtà, la descrizione in calce non è altro che la parte di una cronaca dell’epoca di un Inter-Napoli del 1930, dove gli azzurri, forse per la prima volta nella loro storia, offesero la “beneamata” di Meazza, pareggiando 2-2 e facendo oltraggio al pubblico nerazzurro. Qualche giorno prima era morto “il presidente del Napoli“, non “un presidente“, l’articolo determinativo sta ad evidenziare la figura in questione come l’artefice di una nuova era, l’uomo che ha regalato il Napoli a Napoli, la persona verso la quale ogni tifoso napoletano, oggi, dovrebbe chinarsi e salutare come si fa con le immagini sacre, perché, in realtà, qualcosa di sacro, Ascarelli, lo ha fatto. Era un napoletano doc, del quartiere Pendino, nato nel 1894 da una famiglia di origini ebree, ben presto autodidatta in pittura ed esperto d’arte, fautore di uno delle associazioni culturali più fervide dell’epoca, che spinse il rinascimento ebraico napoletano verso traguardi insperati, subito soppressi dalle leggi razziali dettate da Mussolini (la foto in alto lo ritrae col cappello stile “regina”, in compagnia di Attila Sallustro).
Il fatto di essere un ebreo napoletano non lo aiutò, anzi dovette addirittura cedere la presidenza a causa di questa sua nascita mal voluta dalla storia dell’epoca, fattore che mai riuscì a disperdere le sue doti imprenditoriali e manageriali che lo portarono alla fondazione dell’Associazione Calcio Napoli, nata dalle fondamenta dell‘Internaples, a cui egli stesso impose di cambiare il nome, tralasciando le contaminazioni esterofile, appropriandosi del nome proprio che identifica una città, oltre che una squadra di calcio. Il suo annuncio dell’epoca fu chiaro e le sue parole, ancora oggi, hanno il sapore di uno spiccato senso d’appartenenza: ” Pur grati a coloro che sono stati la nostra matrice, l’importanza del momento e la maggiore dignità cui il nostro sodalizio è chiamato mi suggeriscono un nome nuovo, nuovo e antico come la terra che ci tiene, un nome che racchiude in sé tutto il cuore della città alla quale siamo riconoscenti per averci dato natali, lavoro e ricchezza. Io propongo che l’Internaples, da oggi in poi, e per sempre, si chiami Associazione Calcio Napoli”.
Nacque il Napoli, era il 1 Agosto del 1926, e fu subito un grande presidente. Dopo la forzatura di un anno sabbatico causa Fascismo, ritornò più forte di prima per edificare una squadra forte e competitiva, a partire dall’allenatore, l’inglese William Garbutt, faro di sapere e guru della patria ove nacque il Football, a cui si deve l’appellativo “mister” quando ci si rivolge ad un allenatore. Assieme con il tecnico di Stockport, arrivarono a Napoli giocatori del calibro del portiere Cavanna, il terzino Vincenzi, le mezz’ali Vojak e Mihalic, l’ala Perani, successivamente arriveranno addirittura il nazionale Giovanni Ferrari ed il futuro beniamino Attila Sallustro . Grandi professionisti, insomma, per un grande progetto, che venne evidenziato da un altro sforzo non indifferente, la costruzione di un nuovo impianto sportivo, da regalare ai tifosi partenopei nel cuore della città, nel famigerato rione Luzzatti.
Si chiamerà dapprima “Stadio Vesuvio“, cambiato dal regime fascista in “Stadio Partenopeo“(eccolo nella foto in basso), fino ad arrivare al nome a furor di popolo “Stadio Ascarelli”, quando il presidente, prematuramente, si spense a seguito di una peritonite fulminante, alla tenera età di 36 anni. Combattente nato, riuscì ad imporre il campionato da 16 a 18 squadre, rendendo possibile l’ammissione di Lazio e Napoli, si fece sentire in federazione quando le cose non andavano per il verso giusto ed il Napoli ne faceva le spese, pur mantenendo un’umiltà degna di un grande condottiero, dallo spirito di un guerriero racchiuso nella mente di un brillante imprenditore. Quando, con la Juve, lo stadio venne inaugurato (la gara terminò 2-2), tutti lo cercavano per “costringerlo” a presenziare al cerimoniale di rito, tra le autorità presenti in tribuna nessuno fu in grado di scovarlo, leggenda narra che il buon Giorgio preferì “scendere” tra il popolo, mettendosi a sedere nei distinti, in un angolo defilato, ammirando le gesta della sua squadra e l’enfasi di un pubblico meraviglioso, cercando di trattenere le lacrime, attraverso sospiri che infervorano l’orgoglio, uno dei sentimenti più bistrattati degli ultimi decenni.
Con lo stesso orgoglio e con immensa gratitudine oggi diciamo grazie ad un uomo dimenticato, con la speranza che le nostre parole possano portare il giusto messaggio a chi, del presidente Giorgio Ascarelli, non ne conosceva gesta e blasone. Che la storia possa servire come testimonianza di un uomo che è divenuto leggenda, pietra miliare della storia del calcio a Napoli. Grazie ancora per quello che siamo stati, grazie per aver reso possibile ciò che siamo adesso.