Stiamo perdendo ogni memoria, e con essa la possibilità di ricostruire e riposizionarci nel magma inquieto del nostro mondo complesso. Gli amori durano lo spazio di un mattino, e ciò che si crede di conoscere è in realtà solo il rumore della conoscenza, un primo saluto, l’onda morta.
I nostri padri, perfino noi stessi un po’ più giovani, eravamo allenati al ricordo, ci era amica un’abitudine che tranquillizzava. La formazione del Napoli era un canto dell’Iliade che ripetevamo a memoria. Nessuna possibilità di interruzione, la nostra voce era sicura e il nostro ricordare così saldo da tenere lontano ogni spettro d’ignoranza. Ma i tempi slittano e così pratiche inceneriscono per lasciar posto alla nuova edilizia dell’impermanenza.
Cavani va via, Lavezzi è ormai solo un incidente della memoria; altri arriveranno, altri ancora andranno. E la memoria vera, quella si sfolla, e che pena non ricordare appieno, che dolore cercare un passato che possa comparire nel presente.Solo spettri, fantasmi che abbiamo incrociato, dissolvenze amare che abitano un tempo decapitato, quello senza passato.
Il passato rimane, ma è senza percorso. Ciò che era nostro non è più nostro, e il nostro ricordo deve essere diviso con altri ricordi, spossessandoci della nostra emozione. Cavani, Lavezzi ora abitano altre memorie calcistiche, e che fatica ci tocca per renderli idonei a un giusto e sereno ricordo.
Una volta le divinità erano per sempre, e con gli adoranti stabilivano una comunione per l’eternità. Oggi ci sono i contratti, scrittura che si accompagna all’evanescenza della parola data.
Non esiste più il tempo lungo, la conoscenza verticale è stata barattata con la dimensione orizzontale dell’informazione. Il nostro Cavani passerà come un’informazione, il suo andare via gli precluderà l’accesso alla conoscenza.
Forse non voleva farsi conoscere, e i sentimenti sono così deboli da piegarsi sotto il peso leggerissimo delle banconote.
Il mondo, mi si obietterà, procede così di questi tempi. D’accordo, rispondo, ma questo non deve evitare il giudizio. Un’infamia del sentimento rimane tale anche se la pratica è pubblica. Io non giudico l’infrazione leggendo gli statuti dei comportamenti.
Sono deluso, e non voglio ragionare sui perchè dell’addio di Cavani. Mi basta il mio risentiento e la mia amarezza. I sentimenti non vogliono essere spiegati ed io non voglio cadere nella mallattia scientista del nostro secolo: voler spiegare ad ogni costo ogni cosa.
Mi basta l’addio per pesare sulla bilancia della mia verità un altro uomo che passerà come una memoria da dimenticare.
Carlo Lettera
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