Ma l’ardore agonistico non basta, finisce il campionato e ci si ritrova tredicesimi, c’è bisogno di affiancare ai buoni propositi qualche gran calciatore in grado di invertire la rotta. Da Trieste il presidente acquista nientemeno che Nereo Rocco, mezz’ala ventinovenne pagato 160 mila lire, metà della somma usata per pagare gli stipendi dello scorso campionato, comincia ad avere i consensi dei tifosi ma ciò continua a non essere abbastanza. Il comandante è stanco di vedere la squadra relegata nei bassi fondi della classifica, dopo l’ennesima critica, lascia la presidenza e decide di abdicare. Solo quattro anni, lunghi e estenuanti, troppo pochi per costruire un ciclo, già tanti per capire di non essere adeguato. Ma le cose vano anche peggio, i bilanci crollano in sua assenza, la squadra retrocede nel ’42, prima del secondo conflitto mondiale, e le speranze dei napoletani si dissolvono, complice una cattiva fama che s’era creata nei corridoi del calcio italiano, a Napoli non pagano gli stipendi, statene lontani.
Ma le cose tra i due sono cambiate, anche se il Napoli arriverà al quarto posto. Leggenda vuole che nell’intervallo di una gara, il comandante decise di scendere negli spogliatoi per far sentire la sua voce, prese “di petto” Jeppson, secondo lui principale artefice di quell’insuccesso, il quale venne difeso a spada tratta da Monzeglio, che chiede al presidente di smetterla di sputare critiche, manifestando il suo disappunto con l’ennesima richiesta di dimissioni. La risposta di Lauro fu ancora una volta glaciale, ma meno formale della precedente: “Stai zitto e resta al tuo posto“. Questo carattere da duro ma allo stesso tempo pragmatico e concreto lo fecero balzare allo cronache politiche cittadine, divenendo simbolo di una politica figlia della capacità di gestione delle campagne elettorali. il risultato con Lauro sindaco non fu dei migliori, principalmente perché l’edilizia selvaggia si scatenò senza che la giunta comunale fermasse quello scempio, ed ancora oggi si notano obbrobriosi palazzoni posti in cima ad aree collinari o in zone logisticamente inadeguate. Ma questa è un’altra storia, la carriera da presidente azzurro avrà di certo miglior sorte, così come lo è stato realmente. L’acquisto di Luis Vinicio, brasiliano dai piedi d’oro, fu l’ultimo dei grandi nomi che Lauro portò al cospetto dell’esigente piazza partenopea. Con Vinicio fu colpo di fulmine quando, col Botafogo, approdò in Italia in tournée. “Chist adda venì addu nuje“. E così fu.
Ma qualcosa è cambiato. La doppia carica di sindaco-presidente diviene ben presto un fardello insopportabile, dal Ministro degli Interni arriva la decisione di sciogliere il consiglio comunale e nel ’61 ci fu l’ennesimo addio alla presidenza della società, che coincise con la terza retrocessione della storia azzurra. Una fuga, un tentativo di nascondersi da eventuali rivendicazioni da parte dello stato, un modo per intorbidire le acque di una politica che stava smascherando una gestione sciagurata ed inappropriata, al cospetto di un incarico presidenziale sempre all’altezza del blasone del glorioso Napoli. Ma nel destino di quest’uomo il Napoli avrà sempre un posto privilegiato, fu così che, nel ’67, ci fu l’ennesimo ritorno, anche se attraverso il figlio Gioacchino, con l’ambra di Don Achille pronta a distribuire consigli e suggerimenti preziosi. Arriva ancora la Serie A, Dino Zoff difenderà la porta azzurra per 143 volte, ma i giocatori non possono cambiare la sorte di un’organigramma societario dissoluto e inappropriato.
Ennesimo fallimento, redini passate nelle mani di Corciano, sfortunato presidente che perirà da lì ad un anno. Durante la veglia alla salma, si narra che, in casa Corciano ci sia un via vai di gente, parenti e conoscenti del defunto, dediti al chiacchiericcio più che al bisogno necessario di dare l’estremo saluto al presidente. Il mormorio era dovuto da una sorta di “toto-presidente” che i visitatori stavano ipotizzando, nonostante la sconveniente situazione. Altra leggenda urbana vuole che un giovanissimo Corrado Ferlaino, ex pilota automobilistico, figlio d’imprenditore, approfittando della situazione confusa che l’improvviso funesto avvenimento aveva creato nell’ambiente napoletano, riuscì in poche ore ad accordarsi per rilevare il 30% delle azioni della società, che verrà poi affiancato dall’altro 21% appartenente alla famiglia Lauro, in uno scenario grottesco e, visti tempi e luoghi, da commedia di De Filippo, ai limiti del tragicomico.
Achille Lauro resterà presidente a vita, anche dopo la sua morte, avvenuta il 15 Novembre del’82, perché nonostante le controversie politiche, nonostante gli insuccessi e le retrocessioni dopo aver speso milioni, resterà un personaggio di rilievo nella storia della società azzurra e della città di Napoli, un presidente con la voglia matta di dare lustro e gloria ai napoletani, con modi discutibili ed atteggiamenti vulcanici. Non diremo altro di nostro, ci piace invece congedarci con l’ultimo aneddoto di questa lunga storia di un uomo d’altri tempi. Durante la sua presidenza, fu colpito positivamente dall’operato di Gigi Peronace, all’epoca general manager del Birmingham, tanto da invitarlo a Napoli per ricoprire la stessa carica che aveva in Inghilterra. Il dg mise piede a Napoli e, negli uffici di Lauro, descriveva progetti e illustrava nuove tecniche per portare la squadra ad alti livelli. Ma galeotta fu l’ultima frasi, che concludeva l’intera presentazione del brillante dirigente: “Presidente lei la domenica deve starsene in tribuna, non in campo, ad ammirare lo spettacolo“. L’ennesima risposta a muso duro di Don Achille: “Stateve buono“, e gli mostrò la porta, invitandolo a tornarsene da dov’era venuto. Questo era il comandante Lauro.
Articolo modificato 13 Lug 2013 - 09:45