Stadio Ballarin, e nessuna “cupola di festa”, come ha detto il Poeta Gatto. La storia del calcio è stata scritta pure dalla tragedia. Diversamente, il pallone non sarebbe quel “romanzo popolare” definito dagli scrittori come una rappresentazione tipica della vita. E quella domenica del 7 giugno 1981, allo stadio “Fratelli Ballarin” di San Benedetto del Tronto, quella che era stata preparata come una domenica di festa, si trasformò in una domenica destinata a segnare uno dei più tristi paradossi della storia del calcio italiano, quando, nel rogo di una delle due curve, morirono due ragazze e rimasero ferite 60 persone.
La coreografia che i tifosi della Sambenedettese (in quella squadra militava pure Walter Zenga) avevano preparato in occasione della partita col Matera, valevole per il campionato italiano di serie C1, si trasformò nella “bloody sundey” di fuoco che in poco tempo diffuse le sue fiamme in quasi tutto il settore occupato da centinaia di tifosi.
Circa 7 quintali di carta furono disposti per fungere da coriandoli e festoni, per creare un effetto spettacolare tipico delle tifoserie sudamericane. Ma in quel giorno di giugno, la carta che avrebbe dovuto fungere da elemento colorito della curva sud, in un attimo prese fuoco, divampando al centro della curva occupata da oltre tremila persone, intrappolate in mezzo alle fiamme nei primi minuti del rogo perché le chiavi di apertura dei cancelli di emergenza non furono subito trovate e gli idranti non vennero immediatamente utilizzati.
L’effetto dell’incidente fu che le striscioline di carta in fiamme iniziarono a divorare la curva, dove il panico costrinse molti dei suoi occupanti a gettarsi letteralmente verso il terreno gioco. Alcuni spettatori caddero sulle fiamme, procurandosi subito delle ustioni molto gravi. Tra questi, Maria Teresa Napoleoni e Carla Bisirri non riuscirono a sfuggire al rogo, in mezzo alla folla che per sfuggire alle fiamme aveva creato una specie di vuoto proprio al centro della curva.
Dopo più di un quarto d’ora, il tempo di assistere alla consumazione di uno “spettacolo” completamente opposto a quello organizzato per l’entrata in campo delle squadre, Paolo Tubertini, direttore di gara, dopo aver atteso che venissero ultimate le operazioni di soccorso, decise di dare comunque inizio alla partita, spiegando, poi, ad alcuni giornali, le ragioni della sua decisione.
Quando, a distanza di anni, è uscita la prima sentenza, il presidente della Sambenedettese è stato condannato, insieme all’allora commissario di pubblica sicurezza, e altri dipendenti dello stadio Ballarin, per omicidio colposo. La vicenda è anche finita sui tavoli del Ministero dell’Interno, costretto, nel 1999, a sborsare oltre 8 miliardi di vecchie lire per i risarcimenti, rivalendosi, poi, sui responsabili condannati dai tribunali. Ma la rivalsa ministeriale, nel 2004, è stata respinta dal Tribunale di Ancona.
Altri elementi particolari colpiscono per quella storia. Sambenedettese – Matera decretò il ritorno in B della squadra di San Benedetto del Tronto, e quella domenica, coreografia compresa, avrebbe dovuto rappresentare un giorno di festa, per i tifosi e per la città. Tre giorni dopo il 7 giugno, sempre a san Benedetto del Tronto, le Brigate Rosse rapirono Roberto Peci, fratello del pentito Patrizio, primo pentito nella storia delle BR. Roberto Peci fu assassinato quasi due mesi dopo. Qualcuno ipotizzò che la vendetta trasversale fu il monito a un sistema che andava messo a tacere circa eventuali rivelazioni sul caso Moro.
Le modalità del “processo” a Peci furono le stesse di quelle del “processo” a Moro. 55 giorni di prigionia e 11 colpi di mitra, per entrambi, sia pur in anni diversi, ma ravvicinati.
Per San Benedetto del Tronto, quelli furono periodi di rabbia e di terrore, di dubbi e di inquietudini. Erano i primi anni ’80, un momento molto delicato per la storia recente. In quegli anni anche il senso della percezione visse l’esperienza dei grandi interrogativi e delle grandi paure. La storia non procede mai sola.
Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka