Le origini Maura Bolfer, una delle sue prime insegnanti, racconta come Rafael amasse sedersi in fondo pur non essendo uno scatenato: “era un alunno tranquillo che amava studiare e che era sempre promosso con voti dall’otto in su”. A 12 anni entra nelle giovanili del San Paolo, ma non trova spazio. In quel periodo nella città di Itu si era stabilito un club coreano, l’Interclub Korea, con il quale Rafael disputa un campionato. Passa al Bahia dove rimane per due anni. Una breve esperienza nell’Ituano e poi, a 16 anni, gli osservatori del Santos si accorgono del suo talento. Col Santos, Rafael gioca 194 partite e vince tutto. Tre volte il Campionato Paulista, una Coppa del Brasile, una Libertadores e una Recopa Sudamericana. L’inizio al Santos non era stato facile, come la sua vita del resto. In un allenamento un suo compagno, Domingos, entra duro fratturandogli una gamba e lasciandolo fuori 4 mesi. Rafael lavora con impegno in attesa della sua occasione che arriva il 2 giugno del 2010 contro il Cruzeiro. È il giorno del suo esordio come titolare. “Ci speravo sempre, poi quando è arrivata l’opportunità sono stato molto felice perché ci sono arrivato preparato. Quando passa la chance non devi fartela scappare”. Il 30 maggio 2012 esordisce con la Seleçao a New York in un’amichevole contro gli Usa, la terra che nel 2010 lo aveva visto giocare la sua prima gara col Santos contro i Red Bulls. Nell’estate 2012 è convocato nella selezione olimpica per Londra, ma è costretto a rinunciare a causa di un infortunio al gomito destro.
Umanità Dotato di una grande tecnica, Rafael fa dell’esplosività e della reattività i suoi punti di forza. Dterminato, ama lavorare sodo per migliorarsi. Chi lo conosce ne apprezza l’umanità e la semplicità. Non ha dimenticato le sue origini e spesso torna a trovare gli amici nel suo quartiere, oltre ad aiutare molti ragazzi in difficoltà. Evangelico, ha maturato una forte spiritualità che gli permette di avere un grande equilibrio interiore. Nella vita di Rafael è stata decisiva la figura di papà Sergio, che sognava di fare il calciatore. Lo ha cresciuto e lo ha accompagnato in ogni suo passo, cercando di dargli anche l’amore della madre persa prematuramente.
Fonte: La Gazzetta dello Sport
Articolo modificato 20 Lug 2013 - 10:27