E’ una sonnacchiosa e banale domenica di luglio, intorpidita dalla nostalgica assenza del campionato di calcio, eppure, tutto ad un tratto, diventa una “domenica da ricordare”.
La radio e la tv diramano una di quelle notizie che mai nessuno vorrebbe apprendere: il pilota Andrea Antonelli è morto in seguito ad un agghiacciante incidente avvenuto sulla pista di Mosca, durante l’avvio della gara di Supersport – categoria cadetta della Superbike – allorquando, sotto una pioggia battente, il pilota umbro, dopo essere scivolato a terra è stato investito da Lorenzo Zanetti.
Inutile la corsa contro il tempo avviata dai soccorritori che, repentinamente, lo hanno trasportato all’ospedale più vicino: Andrea Antonelli è morto alla precoce età di 25 anni, mentre si apprestava a correre lungo un percorso, in sella alla sua moto, per dare luogo ad una delle molteplici gare alle quali ha preso parte, ignaro del fatto che quella sarebbe stata l’ultima della sua vita.
Come si può reagire al cospetto di una simile notizia?
Che si tratti di amanti dello sport o di cultori del dolce far nulla, dinanzi a simili tragedie, tutti si radunano nel medesimo punto di vista: non si può morire così.
E’ ancora troppo vivo, inoltre, nelle coscienze e nelle menti degli italiani, il viso solare e sorridente, contornato da indomabili ricci biondi, di Marco Simoncelli, morto anche lui in circostanze analoghe, appena 2 anni fa.
Oggi, l’Italia così come l’intero mondo dello sport, si ritrovano a commemorare un altro giovane talento, ma prima di tutto, l’ennesima vita spezzata precocemente da circostanze forse evitabili o forse catalogabili nel grosso macigno che pende sull’altro piatto della bilancia, racchiuso in un ingombrante e lurido sacco, sotto la voce “fa parte del gioco”.
Giovani che sfrontatamente scorazzano in sella ad una moto, noncuranti del pericolo, disposti a mettere a repentaglio la propria vita pur di accarezzare l’ebrezza della velocità e lasciarsi sopraffare dall’adrenalina che gli pervade il corpo, curva dopo curva, sfiorando l’asfalto, alla ricerca delle manovre più proibitive ed efficaci per divorare centimetri di pista e rubare il tempo agli avversari.
Il tempo.
Quello di una gara, per un pilota, probabilmente è un tempo a se, scisso dalle abuliche e consuete dinamiche che demarcano la quotidianità, non scandito da ore, minuti e secondi, ma solo dalle emozioni.
Quello che porta questi ragazzi ad essere mossi da tale sconfinata, irresponsabile e folle scelleratezza, noi, quelli che li guardiamo sfrecciare sull’asfalto, comodamente seduti in poltrona, non lo potremo mai capire.
Eppure, deve essere un sentimento assai forte, predominante, indomabile, se è in grado di sopraffare la paura di morire.
Forse, è proprio quella brama di correre sfidando il vento e quell’ingordigia di emozioni da pista a conferire un senso alle loro vite ed è per questo che, quando sono in sella alla loro moto, non vi è posto per alcun genere di paura, perché lontano dalla pista, sarebbero morti comunque.
In pochi, senza dubbio, prima di oggi, avevano sentito parlare prima di Andrea Antonelli, originario di Castiglione del Lago (Perugia), alla sua seconda stagione nel mondiale Supersport ed occupava il settimo posto in classifica con 55 punti, con un quarto posto ad Aragon come miglior risultato stagionale. In precedenza, aveva militato a lungo nella Stock (arrivò secondo in campionato nella categoria 600 nel 2007), raccogliendo una vittoria e tredici podi.
Eppure, non verrà ricordato per quello che ha fatto in vita, ma, piuttosto, per il modo in cui la vita gli è stata strappata.
Poco dopo la diffusione della tragica notizia della sua morte, il cielo di Napoli si è incupito e la città è stata sommersa da una fitta pioggia.
La stessa pioggia che ha reso infimo il circuito di Mosca, artefice, quindi, dello sciagurato epilogo dell’ultima gara alla quale Antonelli ha preso parte.
Il sentore che trasuda dalle nuvole partenopee è che non basta la pioggia per ripulire l’asfalto e le coscienze da quell’angosciante senso di impotenza e rammarico che pervade la scena di questa insolita domenica.
La morte è sempre ingiusta.
Non bussa mai alla porta per preannunciare la sua venuta, ma quando afferra una giovane vita con simile livore, coloro che rimangono a piangerne la scomparsa, hanno il dovere di fermarsi a riflettere.
Luciana Esposito
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