“Mister miliardo sbarca a Napoli” così titolavano i più importanti giornali sportivi usciti l’8 luglio 1975, il giorno dell’ufficialità del passaggio di Beppe Savoldi, poi ribattezzato dai napoletani “ò Marajà”, nella città del Vesuvio direttamente da Bologna per la cifra (record mondiale allora) di un miliardo e mezzo di lire.
“Bastava la metà di quella cifra per pagare i nostri stipendi” protestavano i netturbini partenopei leggendo le cifre dell’operazione; l’Italia del ’75 era un paese in piena recessione con oltre un milione di disoccupati con un incremento del 133% di cassa integrazione e Napoli, come tutto il Sud, viveva nel “tumulto” di una povertà socialmente paralizzante. Per la prima volta il calcio non viaggiò più in parallelo al paese e divenne, a tutti gli effetti, il gioco da tavolo dei potenti, un gioco in cui il peso specifico del pallone rimase invariato ma che vide il peso economico di chi lo calciava diventare 100 volte più grande
Savoldi stesso conobbe le cifre del suo trasferimento attraverso i giornali: “Quando parlai con Ferlaino (allora presidente del Napoli) non discutemmo del costo del mio cartellino ma solo e unicamente del mio ingaggio, scoprii la cifra direttamente dai giornali. All’inizio mi spaventò. Ne parlavano in Germania, in Inghilterra..Ma poi non restai turbato. Quei soldi mica li intascavo io”.
L’entusiasmo dei tifosi crebbe, gli abbonamenti toccarono quote mai viste e molti per pagarli dovettero ricorrere alle cambiali.
Le prime partite de “ò Marajà” furono straordinarie, 7 gol in 7 partite, e per la prima volta il Napoli giunse da solo in testa alla classifica. Poi un infortunio face svanire il sogno e lo scudetto tornò ad essere cucito sui soliti petti.
L’avventura di Savoldi a Napoli durò altre tre stagioni, tre campionati senza nessuna vittoria, ma scanditi da 168 di “Beppe gol” che nell’estate ’79 tornò al Bologna per “soli” 800 milioni.
Ma la storia di grandi centravanti napoletani continuò negli anni successivi: nel 1986 fu il turno di Andrea Carnevale pagato 4 miliardi dall’Udinese. Con la maglia “azzurra” Carnevale fu uno dei protagonisti del magico primo scudetto, coadiuvato da una squadra fatta di tanti ottimi talenti come Giordano, Bagni e ovviamente Diego Armando Maradona.
l’anno successivo fu il turno di Careca, anche lui pagato 4 miliardi di lire, prelevato dal San Paolo (noto club brasiliano) più forte della storia e in cui il centravanti brasiliano siglò oltre 115 gol in 191 partite.
L’arrivo a Napoli di Careca fu sensazionale, i tifosi già pregustavano l’enorme potenziale che “la coppia delle meraviglie” Careca-Maradona potesse sprigionare.. e così è stato.
Careca totalizzò 95 gol in maglia azzurra sino al 1995, giocando accanto ad altri grandi interpreti del calcio quali Zola, Alemao e Fonseca. Fu uno dei protagonisti del “Napoli d’oro” capace di vincere uno scudetto, una supercoppa italiana e una Coppa Uefa (unico trofeo internazionale della storia).
Da Careca a Cavani intercorrono anni difficili per il Napoli che, da campione d’italia, in seguito a molteplici cambi di proprietà vede persino perdere il proprio “titolo sportivo” giungendo al fallimento. La storia la conosciamo tutti, quella del noto imprenditore cinematografico esuberante ma con grandi progetti che riacquista il nome “Società Sportiva Calcio NAPOLI” al club dopo aver ottenuto la promozione dalla serie C alla serie B.
Di grandi attaccanti anche in questo frangente Napoli ne ha visti, uno su tutti, Roberto “el Pampa” Sosa. Arrivato al club di De Laurentiis a titolo definitivo dall’Udinese partendo dalla Serie C1 ma utilizzando la maglia numero 10 di Maradona.
Col Napoli raggiunge la promozione in Serie B e successivamente anche in massima divisione realizzando 28 gol in 116 partite sino al 2007.
L’epoca attuale è ancora vivida negli occhi dei napoletani: i 104 gol in 138 partite di Cavani hanno infiammato il San Paolo in campionato quanto in Champions League rappreseranno, per qualunque centravanti sostituirà il “Matador”, un peso incalcolabile.
Auguriamoci tutti che Higuain conosca bene la storia dei grandi attaccanti “azzurri” perché, molto spesso, conoscere i propri demoni passati rappresenta il modo migliore per stigmatizzare le aspettative del presente e regalare, a tutti noi, uno splendido futuro.